Erano gli anni ’70, gli anni di piombo ma anche quelli degli abbigliamenti hippie, Ferruccio de Bortoli aveva 22 anni e fu l’unico giovane aspirante giornalista a presentarsi in giacca e cravatta, fin da allora, per passare “l’esame”: l’assunzione da Cesare Lanza, il suo talent scout, al Corriere d’informazione, ovvero l’edizione pomeridiana del Corriere della Sera. “Impulsivo e appassionato”, Lanza, come lui stesso si definisce in questa intervista con Formiche.net; “freddo, chirurgico, dirigente nato”, l’allievo che fu subito assunto.
È un po’ la storia degli opposti che si attraggono quella tra l’effervescente Lanza, giornalista e scrittore, nonché autore televisivo, direttore della rivista “L’attimo fuggente”, editorialista del quotidiano di Maurizio Belpietro La Verità e il due volte direttore del Corsera, ex anche del Sole 24 ore, oggi sotto i riflettori dello scontro politico per il suo j’accuse all’ex ministro Maria Elena Boschi su Banca Etruria nel libro “Poteri forti (o quasi)” (La nave di Teseo). Dove “Ferruccio” accusa Boschi, che ha annunciato querela, di aver “chiesto – scrive l’ex direttore del Corriere – a Federico Ghizzoni (ex amministratore delegato di Unicredit, ndr) di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria”. Ovvero la banca di cui il padre della ministra era vicepresidente. Ma ecco chi è de Bortoli, secondo il racconto che ne fa il suo “mentore”. Pregi e virtù ma anche difetti: “Uno su tutti: l’anaffettività. Solo che Ferruccio non ha mai sbagliato un colpo in vita sua”.
Lanza, come scoprì il giornalista che ora ha messo in fibrillazione la politica?
È uno dei miei ricordi più cari. Nel 1975-’76 io ho assunto una nidiata di giornalisti e ho l’orgoglio di dire che ho assunto sempre tutti senza la minima raccomandazione, solo sulla base di colloqui personali. Io sulla base di questi ritengo di capire se un giovane di vent’anni ha le qualità per diventare giornalista oppure no. E quindi ho inventato de Bortoli, Massimo Donelli, Gian Antonio Stella, Francesco Cevasco, Edoardo Raspelli, critico gastronomico e ce ne sono tanti altri…
Ferruccio de Bortoli a quale requisito rispose?
Lui era un dirigente nato. Erano gli anni di piombo, tutti in redazione erano in jeans, camicioni, robe allucinanti e anche io non scherzavo, benché fossi il direttore. E, invece, lui arrivava in blazer, camicia e cravatta.
Un direttore nato?
No, attenzione: un dirigente nato. In poche settimane diventò il cocco della direzione. Tra l’altro i miei due vice non andavano d’accordo, però tutti uniti con me nel considerarlo il nostro cocco come redattore e poi fu così tanto apprezzato dai colleghi che entrò nel comitato di redazione. Quindi: blazer, cocco dei vertici, cocco della redazione come sindacalista.
Perfetto?
Sì, e quando lo incontravo gli dicevo: io non so se tu diventerai un grande giornalista, ma sicuramente farai una carriera straordinaria come dirigente. O nei giornali, o nella Chiesa, potresti anche diventare cardinale, oppure sindaco o ministro o anche presidente di una banca. Lui aveva 22 anni.
La caratteristica principale?
Non commetteva errori, era una specie di robot, per me lui è anaffettivo, è una specie di chirurgo, gelido che non prova emozioni. Quando osa e ha osato più volte, ad esempio verso Renzi – tutti si ricordano il famoso articolo d’addio sul Corriere – ha in mano il poker d’assi, sennò è prudentissimo. Io credo che non abbia mai commesso un errore o abbia avuto una smentita significativa.
Ma un difetto de Bortoli lo avrà o no?
Io l’ho mandato a quel paese più di una volta per il suo limite che è anche la sua grandezza: la mancanza, l’assenza di emozioni, di passioni. Io come allievo lo avrei voluto simile a me: impulsivo, sanguigno. Però io ho commesso decine di errori. Lui neanche uno. E ha fatto il direttore del Corriere della sera per quindici anni.
Neppure stavolta ha sbagliato?
Escludo assolutamente che de Bortoli abbia scritto quello che ha scritto senza aver riflettuto e senza essere certo delle sue fonti.
E però ha detto di averlo anche mandato a quel paese…
Sì, perché sgarbi me ne ha fatti. Può citare anche l’ultimo…
Che le ha fatto?
Quando ho festeggiato i 60 anni di carriera, l’ho invitato e lui mi ha risposto con un ineccepibile, gelido, anzi asettico – perché è come un chirurgo – che aveva altri impegni e non poteva venire. Allora mi sono incavolato e l’ho mandato a quel paese. C… – gli ho detto – mi chiami maestro ecc. e allora non mandarmi sms asettici, mi mandi una parola affettuosa, un saluto, qualsiasi cosa, ma non mi tratti come se fossi uno su cui operare da chirurgo. Essendo io sanguigno, passionale, calabrese, gli ho quindi scritto che non gli avrei più rivolto la parola.
E lui?
Si è mostrato superiore. È venuto a chiedermi scusa. Lo ha fatto prima al telefono, poi di persona e quindi adesso abbiamo ricucito, fino al prossimo errore.
Lo definirebbe un vero borghese?
Lui è un dirigente nato. Uno che assorbe, riflette, decide, con prudenza. E questo, secondo me, sul piano umano è un grandissimo errore, tant’è che lo giudico pressoché anaffettivo. Ma magistrale, eccezionale come dirigente.
Intende dire che anche de Bortoli sul piano umano rischia di essere “un maleducato di talento”, come definì Matteo Renzi in quel celebre editoriale di commiato sul Corriere della sera?
No, perché Ferruccio reagì con me sul piano formale in modo ineccepibile, scusandosi. Ineccepibile era anche quell’sms che però con uno come me non funziona perché a uno che lo ha assunto, lo ha aiutato nei suoi primi anni di lavoro una frase carina almeno per i suoi 60 anni di carriera gliela dici.
De Bortoli è vendicativo?
No, non credo. Lui è come Piero Ottone che pur essendo stato insultato da Pasolini, il quale lo definì “una laida puttana”, poi dopo un anno lo invitò a scrivere. Diciamo che Ferruccio è uno che prima valuta, riflette, in questo senso è un calcolatore.
Una mania, un tic?
È attento in tutto, nell’alimentazione, nelle regole, nella puntualità. Uomo troppo attento e misurato. Cose che per me sono un difetto enorme…(ride ndr).