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A che punto è il Patto nazionale per l’Islam italiano?

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Lenti passi avanti, con la voglia di arrivare anche se non si sa ancora come e quando. Il confronto tra lo Stato italiano e le associazioni che rappresentano le comunità islamiche continua con l’obiettivo di un’intesa che sancisca giuridicamente quello che nel “Patto nazionale per un Islam italiano”, siglato il 1° febbraio scorso al ministero dell’Interno con nove associazioni, fu definito per linee generali. Proprio nella giornata in cui al Viminale si è tenuta un’altra riunione con quelle associazioni, alla Camera c’è stato un confronto su “L’Islam in Italia. Quale patto costituzionale?”: dubbi e analisi hanno confermato la necessità di un accordo e la difficoltà nel raggiungerlo.

UNA FASE PRELIMINARE

Quel Patto di febbraio ha intrapreso una strada anche a livello locale. Il prefetto Gerarda Pantalone, capo del Dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale, ha spiegato che una circolare è stata inviata ai prefetti per l’attuazione del Patto con le comunità presenti in ogni territorio. Sull’intesa, ha fatto intuire che siamo ancora al confronto preliminare: un punto centrale è che gli statuti delle comunità devono essere compatibili con l’ordinamento italiano e, se nel mondo islamico c’è chi pone come imprescindibili i principi dell’Islam, la strada è in salita. Un altro punto per ora irrisolto sta nella domanda posta dal prefetto nel convegno: “È possibile trovare un solo referente nella comunità islamica? Aiuterebbe molto”.

I DILEMMI COSTITUZIONALI

Il costituzionalista Stefano Ceccanti, ordinario di Diritto pubblico comparato alla Sapienza ed ex senatore del Pd, è stato allo stesso tempo conciliante giuridicamente e cauto politicamente. “La questione non è tecnica, bensì politica – ha detto – perché non ci sono problemi di compatibilità tra il diritto islamico e l’Italia e la nostra identità costituzionale non è una clava contro le religioni”. Nello stesso tempo, nonostante la Costituzione sia “fatta per integrare e non per escludere”, quando si parla di lotta allo jihadismo bisogna stare attenti “a non fare il gioco degli avversari”. La richiesta di riconoscere i cinque pilastri dell’Islam è un grosso problema perché “giuridicamente ha un peso molto diverso da come lo si interpreta nella società”. Partendo da questo punto di vista Ciro Sbailò, associato di Diritto pubblico comparato all’università degli Studi internazionali, ha insistito sulla necessità di coinvolgere i governi dei Paesi che si affacciano sul lato Sud del Mediterraneo: “Dobbiamo capire quelle realtà istituzionali visto che chi arriva da noi è partito da quelle culture”.

IL DECALOGO DELL’IMAM

L’imam Yahya Pallavicini (in foto), presidente della Coreis (Comunità religiosa islamica italiana), ha accusato “gli speculatori disonesti dell’Islam” e “l’estremismo degli islamofobi”, aggiungendo un concetto che non è accettato da altre componenti musulmane: In Italia “la formazione religiosa è assai povera” e per questo “i musulmani di prima generazione, arrivati per lavorare, si rinchiudono in se stessi” quando devono confrontarsi con il mondo che li circonda. Pallavicini concorda con l’obiettivo del ministero dell’Interno sulla necessità di “un riconoscimento ufficiale di uno o più interlocutori dell’Islam italiano” e ha illustrato un decalogo delle caratteristiche necessarie, secondo lui, per giungere a un’intesa: dalla trasparenza sui finanziamenti alla formazione teologica che dev’essere simile a quella dei rabbini, dei sacerdoti o dei pastori valdesi; dal rifiuto della strumentalizzazione da parte di qualche Paese musulmano alla chiarezza sulla dignità di uomini e donne.

LA DERADICALIZZAZIONE

Insieme con il Patto stipulato a febbraio, secondo Ceccanti la legge sulla deradicalizzazione che nei prossimi giorni dovrebbe essere approvata dalla Camera è una “pre-intesa” perché non si “può passare dal nulla al tutto”. Stefano Dambruoso (Civici e innovatori), già magistrato antiterrorismo, è il primo firmatario della proposta di legge presentata con Andrea Manciulli (Pd): i due parlamentari hanno faticato parecchio dal gennaio 2016 per far capire ai leader politici che alle chiacchiere occorreva dare sostanza. Nel convegno alla Camera Dambruoso ha ribadito l’importanza, per esempio, della formazione degli insegnanti che “non hanno l’interculturalità nel loro bagaglio” o della controinformazione sul web.

I PUNTI DELLA LEGGE

Il tema, di cui Formiche.net si è occupato più volte, è riassumibile nei seguenti punti: l’istituzione del Centro nazionale sulla radicalizzazione presso il Viminale che elabora annualmente un Piano strategico nazionale di prevenzione della radicalizzazione; l’istituzione dei Centri di coordinamento regionali sulla radicalizzazione presso le prefetture per attuare il Piano; un Comitato parlamentare che monitori i fenomeni di radicalizzazione e dell’estremismo di radice jihadista e analizzi il rapporto semestrale della Polizia postale sulla propaganda via web; una formazione specialistica non solo per forze di polizia e forze armate, ma anche per docenti delle scuole e delle università, per gli operatori dei servizi sociali e socio-sanitari e per la Polizia locale; investimenti a scuole e università; un portale informativo; una piattaforma multimediale della Rai per prodotti in lingua italiana e araba; un piano nazionale per la rieducazione dei detenuti. Un progetto impegnativo, come si vede, per il quale non basterà l’atteso via libera del Parlamento, quanto soprattutto la sua attuazione pratica. Basti pensare a quante situazione potenzialmente a rischio possono affrontate insegnanti e servizi sociali per rendersi conto dell’urgenza.

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