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Come governare la spesa per una sanità sostenibile

Di Giorgio Ambrogioni e Guido Quici

Le dichiarazioni rilasciate dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin al Corriere della Sera aprono un importante dibattito sui numeri della sanità, facendo tuttavia distinzione fra modalità di finanziamento ed i costi reali della spesa sanitaria. Se è il governo che, attraverso il DEF, decide quali risorse stanziare per garantire l’assistenza sanitaria ai cittadini italiani, sono emerse chiaramente difficoltà sul fronte di una spesa troppo frammentata e non governata nel garantire la sostenibilità di una sanità moderna.

È sufficiente ricordare il DEF del 2013 che prevedeva, per il 2016, un Fondo Sanitario Nazionale di 117,6 miliardi/anno, che la successiva Finanziaria 2015 riduceva a 111 miliardi, oppure il recente DEF dell’aprile del 2017 che prevede un PIL medio/anno al 2,9% ma una spesa sanitaria media/anno dell’1,3%. Il risultato finale appare chiaro perché, a partire dal 2018 è previsto un rapporto spesa sanitaria pubblica/PIL al 6,4% valore al di sotto della soglia stimata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che indica, in questa percentuale, il pericolo sulla qualità delle cure, sull’accesso ai servizi e sull’aspettativa di vita.

Intanto, già oggi assistiamo ad un aumento dei tempi di attesa legato a problemi di organizzazione, all’aumento dell’out of pocket quantificato in circa 35 miliardi e, soprattutto, alla rinuncia delle cure da parte di circa 12,2 milioni di persone. Certamente il Ministro Lorenzin ha ben operato mettendo in campo importanti strumenti come il Patto della Salute, gli standard ospedalieri, il Piano delle cronicità e, dopo ben 14 anni, i LEA; tuttavia è inutile nascondere le difficoltà applicative per problemi, non solo, di natura economica ma di organizzazione dei servizi sanitari per effetto di una sanità frammentata in 21 realtà regionali differenti, troppo autoreferenziali e fonte di sprechi.

Ancora oggi, nonostante le tecnologie informatiche disponibili non si riesce ad implementare costi standard su tutto il territorio nazionale; ancora oggi la gestione delle aziende sanitarie è preda della politica su importanti scelte che vanno dalla nomina dei direttori di struttura, all’acquisizione di beni e servizi, alle consulenze ed altro; ancora oggi la politica dei tagli e delle risorse ha impedito la giusta valorizzazione dei professioni e dei medici in particolare, il cui percorso di carriera era stato ben individuato dal Ministro con l’art. 22 del Patto della Salute, fallito per effetto della Legge Finanziaria.

La spesa sanitaria va governata e resa produttiva attraverso l’erogazione di prestazioni appropriate ed adeguate ai bisogni di salute dei cittadini ma, soprattutto, va combattuta nei suoi aspetti patologici legati alla corruzione, alla burocrazia, alla cattiva organizzazione, agli abusi ed alle frodi. La difesa d’ufficio del Ministro va colta per la buona volontà dimostrata in questi anni dal suo Dicastero nel proporre interventi correttivi tesi al miglioramento della sanità italiana; tuttavia la partita che si gioca oggi è molto più complessa e riguarda le future decisioni della politica e del Governo in tema di universalità o meno del nostro SSN, di sostenibilità o meno dell’offerta sanitaria, di governance centralizzata o decentrata delle strutture sanitarie, ma anche dei modello di sanità integrativa che si intende implementare a supporto del nostro welfare.


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