Un’alleanza tripolare, che vede le istituzioni al centro, e al loro fianco il mondo delle imprese e quello accademico. È questa la ricetta con cui la Luiss Guido Carli si propone di dare un contributo alla sicurezza digitale nel Paese, lanciando dal prossimo dicembre un nuovo master di II livello dal titolo “Cybersecurity: politiche pubbliche, normativa e gestione”, progettato in partnership con Elettronica SpA.
“Finanziare un master e i corsi di laurea non è mecenatismo” puntualizza il presidente di Elettronica Enzo Benigni, che vede semmai nell’inaugurazione dei nuovi corsi l’opportunità di “supportare la tecnologia nazionale e proteggere gli asset e i dati sensibili e le infrastrutture critiche”. Non solo un master: il nuovo pacchetto comprenderà una cattedra triennale nuova di zecca, assieme all’attivazione di un Luiss Cyber lab e una Cyber summer school per i liceali.
Alla presentazione ufficiale del master a Villa Blanc ieri sono intervenuti Giovanni Lo Storto, direttore generale della Luiss, e il rettore Paola Severino, che ha fatto una panoramica giuridica dell’emergenza cui il corso vuole far fronte: “Dobbiamo regolamentare il fenomeno del cyber-crime: è una criminalità molto dinamica e dannosa, secondo il World Economic Forum nel 2016 oggi i danni da cyber-attacks ammontano a 400 miliardi di dollari, nel 2020 arriveranno a 3 mila miliardi”.
Un plauso all’iniziativa è giunto anche da Confindustria, che della Luiss è primo azionista. Entusiasti Emma Marcegaglia e il presidente Vincenzo Boccia, per cui investire sulla cyber-security “significa visione, sapere distinguere e selezionare le informazioni. Non è solo una questione tecnologica o digitale. Significa avere la cultura della complessità nel capire le informazioni, avere senso critico”.
Attenzioni puntate sull’ospite d’onore dell’inaugurazione, il ministro dell’Interno Marco Minniti, atteso dai cronisti per un commento fuori campo su temi come il concorso di polizia, lo ius soli e la legge elettorale. “Non voglio deludere i giornalisti venuti qua, ma parlerò solo del tema in questione”.
È un Minniti che si concede qualche attimo di sarcasmo, anche mettendo nel mirino la sinistra italiana. Come quando, salutando il rettore Paola Severino, punzecchia velatamente la linea Boldrini, “dal punto di vista del politically correct dovrei dire La Rettore, ma indica il nome di una cantante. Su questo ho difficoltà a muovermi, chiedo sempre l’aiuto dell’auditorio”.
Oppure quando, scorgendo nelle elezioni di marzo un prepensionamento, si guarda intorno in cerca di nuovi lavori: “Dovete chiamare anche i filosofi a parlare di questo tema. Quando finirò di fare quel che sto facendo, cioè non molto tardi, mi prenoto per fare l’assistente volontario, senza nessun problema…”.
Scherzi a parte, il “Signore delle Spie”, così è stato ribattezzato dal New York Times quest’estate, dimostra di padroneggiare la materia senza difficoltà. La minaccia del cyber-crimine, specie se usato come arma dai terroristi jihadisti per reclutare adepti, è “difficile da leggere, difficilissima da contrastare”. L’invito al n.1 di Confindustria Boccia è dunque quello di “costruire un’alleanza strategica, lavorare per fare più educazione. Un’impresa può essere privata del know-how, di un brevetto, vedersi rubata l’anima e nemmeno accorgersene”.
Certo, il confronto fra le risorse finanziarie italiane impiegate nella controffensiva cyber e quelle di un alleato come gli Stati Uniti è impietoso. “Qual’è allora la differenza che possiamo mettere in campo? Quella di un sistema-Paese, dobbiamo affrontare la caratura delle nostre capacità di impresa in questo campo”.
Stato, impresa e accademia devono divenire un tutt’uno per formare una nuova classe di cyber-esperti da impiegare nell’imprenditoria e nell’antiterrorismo. Minniti sogna di “costruire un rapporto con i cervelli di 15-20 anni e un’accademia di giovanissimi”. Questa è una delle proposte che porterà al G7 dei ministri dell’Interno che si terrà ad Ischia il 20 ottobre.