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Chi si preoccupa per le ultime mosse di Trump sul Nafta

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Mentre si avvicina il quarto turno di negoziati per il North America Free Trade Agreement (NAFTA), l’amministrazione Trump continua a mettere alle strette le controparti messicane e canadesi chiedendo pesanti modifiche dell’accordo di libero scambio.

Le ultime micce che hanno acceso le tensioni sono arrivate da Wilbur Ross e da Robert Lightizer, rispettivamente segretario e rappresentante del dipartimento per il Commercio. In un editoriale per il Washington Post del 22 settembre, Ross ha annunciato che la Casa Bianca chiederà di cambiare le regole di origine per i prodotti dell’area Nafta, alzando le quote minime di prodotti di fattura americana. Un’ipotesi confermata dal Wall Street Journal giovedì scorso: Capitol Hill vuole che le automobili e i prodotti annessi al settore abbiano almeno il 50% di componenti americane.

Dal canto suo Lightizer ha proposto di inserire nell’accordo, in vigore da 23 anni, una clausola di chiusura entro i prossimi cinque anni, al termine dei quali, se le richieste statunitensi non fossero ascoltate, il Nafta esalerebbe l’ultimo respiro. Le proposte di Trump e della sua squadra hanno fatto rabbrividire le grandi lobbies di industriali che dipendono dal manifatturiero canadese e soprattutto messicano.

Venerdì dalla potente Camera di Commercio statunitense si è levata la voce del vice-presidente John Murphy: l’amministrazione Trump rischia di mandare a monte i negoziati con le sue “richieste altamente pericolose”. “Siamo sempre più preoccupati dello stato attuale dei negoziati” ha confidato Murphy ai reporter, guardando con apprensione al quarto round che si aprirà a Washington dall’11 al 15 ottobre. A suo dire, anche solo una delle proposte del dipartimento di Ross “potrebbe essere abbastanza preoccupante da convincere il mondo del business e dell’agricoltura ad opporsi”.

Sul piede di guerra il mondo dell’automobile, che conta circa 871.000 impiegati americani. Già con l’insediamento del Tycoon alla Casa Bianca, fiutando il pericolo, alcuni dei pezzi da 90 del settore come Ford Motor Co., Carrier Corp. e Triumph Group hanno deciso di spostare gli stabilimenti a sud del confine con il Messico, dove i costi del lavoro e la pressione del fisco non creano problemi.

Le ultime dichiarazioni giunte da Washington hanno attivato un campanello d’allarme fra i grandi produttori, che non hanno alcuna intenzione di accettare un inasprimento delle cosiddette “rules of origin”. La lobby più potente del mondo dei motori, la Motor & Equipment Manufacturers Association (MEMA), ha già ammonito Trump: “Modernizzate il Nafta, ma fatelo con cautela”. “Usare le regole di provenienza come arma non creerà più posti di lavoro americani” si legge sul sito dell’associazione, “regole poco realistiche aumenteranno il costo del manifatturiero, i prezzi per i consumatori e, come mostra uno studio recente, elimineranno 50.000 lavori americani”.

Tra le modifiche che Trump vuole apportare all’accordo spaventa i big del settore una disposizione che impedirebbe il passaggio di alcuni lunghi convogli di tir messicani al di là del confine della zona commerciale, che si estende per 20 miglia al di là della frontiera. Un programma istituito da Barack Obama nel 2011 che verrebbe archiviato come ritorsione contro le autorità messicane, accusate da Washington di non proteggere i convogli americani dai trafficanti di droga e dalle gang, di non curare le infrastrutture e soprattutto di chiudere un occhio sul traffico di immigrati messicani irregolari nascosti dentro i camion.

Oggi Trump si ritrova a fare i conti con un paradosso. La Camera di Commercio americana, la MEMA, così come le grandi lobby legate al Nafta sono tradizionalmente conservatrici e vicine ai repubblicani. Ma gli elettori degli Stati che hanno portato Trump alla Casa Bianca, Texas, Mississipi, Kentucky, Okhlaoma, Alabama per citarne alcuni, gli hanno dato fiducia anche e soprattutto per porre fine alla retorica del free trade, che ha visto il loro manifatturiero sfidato e compromesso dalla concorrenza a basso costo messicana.

Da che parte stare: gli industriali e le lobby dei motori, o l’elettorato? È una domanda che non può essere procrastinata, tanto più che si avvicinano le elezioni di mid-term del 2018. I congressmen e i senatori repubblicani temono che con le ultime bordate al Nafta Trump abbia servito un pericoloso assist ai democratici, che ora, assieme alla difesa dell’Obamacare, possono giocare alle urne la carta delle grandi industrie free-trade.

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