Mercoledi i media americani hanno anticipato che il presidente Donald Trump è arrivato alla decisione sul nome del prossimo segretario alla Homeland Security. Si tratta di Kirstjen Nielsen, già capo di gabinetto al dipartimento, da tempo legata professionalmente a John Kelly, l’ex generale che prima Trump ha messo al DHS, poi a luglio lo ha voluto come suo personale chief of staff. Il legame è talmente stretto che Kelly s’è portato dietro Nielsen come sua vice alla Casa Bianca, dove la pragmatica della donna è stata riconosciuta come l’arma con cui il generale è riuscito a diffondere il suo modo di vedere le cose all’interno di una struttura caotica come quella della West Wing trumpiana. E l’influenza dell’ex ufficiale dei Marines – e del gruppo di normalizzatori di cui fa parte – è tale che la sua donna è stata scelta come ministro, per occupare la sedia che lui stesso ha lasciato vacante.
CHI È NIELSEN
Ecco la descrizione che il sito della White House fa di Nielsen: ha “una vasta esperienza professionale nei settori delle policy e della strategia della sicurezza nazionale, della cyber security, della gestione di infrastrutture critiche e delle emergenze”. Laureata alla scuola di legge della Virginia, ha un master alla Georgetown School of Foreign Service. Da anni lavora nel settore come funzionario di governo (già ai tempi di George W. Bush) e ha anche fondato una società di consulenza privata focalizzata sulla gestione del rischio e della sicurezza (la Sunesis Consulting). Le fonti dei giornali americani non hanno dato per definitiva la scelta fino all’ultimo, perché dicevano che con Trump fino all’ultimo minuto non c’è niente di certo; poi è uscita la dichiarazione della portavoce Sarah Huckabee Sanders che l’ha definita “a great choice“. Nielsen ha battuto la concorrenza di Tom Bossert, consigliere della presidenza per le questioni di sicurezza nazionale, considerato da tempo in cima alla lista dei papabili segretari.
NO-NONSENSE
“No-nonsense” è il termine composto con cui vengono descritte le persone come lei negli Stati Uniti: iper realista, disciplinata, metodica, precisa, caratteristiche che ne descrivono una figura che può essere letta in modo controverso. Con certe doti ci si porta dietro un mucchio di detrattori, soprattutto all’interno di un sistema di lavoro come gli stretti corridoi della West Wing, dove prima di lei, e di Kelly soprattutto, regnava un approccio quasi situazionista alle questioni; sono entrati e hanno portato “professionalizzazione” raccontano le fonti, benevole sul duo, del Washington Post.
IL LAVORO DAVANTI
Eredita un dipartimento nevralgico (260mila dipendenti, 40miliardi di dollari stanziati a budget), con compiti che vanno dalla protezione delle frontiere (che con Trump, l’uomo del Muro, sono un aspetto centrale anche politicamente), alla gestione delle emergenze (come gli uragani o i giganteschi incendi che stanno colpendo la California in questi giorni). Spetta al dipartimento anche far fronte alle minacce online: è stato il DHS che, per esempio, ha monitorato e tracciato i tentativi di intrusione russi sui sistemi di voto telematici di alcuni stati durante le ultime presidenziali (e in quest’ottica l’esperienza di Nielsen sul campo della cyber-sec potrà certamente tornar comoda, visto che quello cibernetico è ormai diventato un warfare primario di confronto tra stati). Suo il compito, anche, di tenere a bada gli spiriti bollenti come quello dello sceriffo della contea di Milwaukee o del segretario di Stato di Kansas, che hanno già annunciato un’applicazione arcigna alle nuove direttive trumpiane sull’immigrazione – questo spirito moderatore è il motivo per cui Nielsen non piace troppo agli insider hard-liner tipo Stephen Miller.
(Foto: White House Photo)