La sinistra naufraga in tutta l’Europa. E’ caduta anche in Austria dove negli ultimi cinquant’anni, con rare pause, è stata al potere o nei suoi paraggi. Nulla è irreversibile in politica, ma oggi è francamente difficile prevedere a breve la resurrezione della sinistra europea, nelle forme della socialdemocrazia. Al netto di occasionali inversioni di tendenza, come potrebbe accadere nel Regno Unito in seguito alla sciagurata gestione della Brexit da parte della conservatrice Theresa May, l’orientamento politico continentale è incontestabilmente spostato verso un nazional-conservatorismo che assume forme diverse, tutt’altro che omogenee quindi, ovunque si manifesti.
Sicché è piuttosto difficile comprenderne le dinamiche che ne determinano l’affermazione a meno di non voler assumere come dato unificante, al fine di liberare l’interpretazione dai pur necessari “distinguo” nei mutamenti in atto, il consunto anatema del populismo. E’ esattamente quello che sta facendo da un decennio a questa parte la sinistra la quale, come sempre, quando è a corto di argomenti non trova niente di meglio cui ricorrere se non alla demonizzazione dell’avversario. E che di argomenti politici sostenibili non ne abbia più dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, sembra assolutamente incontestabile.
Da quando il verticale crollo del comunismo sovietico si abbatté anche sulle scogliere occidentali accendendo una crisi che non si mai più risolta – coperta da un’autentica operazione di contrabbando politico-culturale fondata sulla artificiosa congiunzione del socialismo democratico con un liberalismo sociale incoerente, operazione che ebbe in Tony Blair l’interprete più significativo ed in Italia, retoricamente, si pensò addirittura al lancio di un “Ulivo mondiale” il cui testimonial d’eccezione fu addirittura il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton – la sinistra si è come smaterializzata e perfino quando ha vinto in Spagna o in Francia, oltre che nelle nostre contrade, non ha saputo esprimere un programma a lungo termine in grado di convogliare consensi almeno pari a quelli del vecchio partito comunista togliattiano e berlingueriano.
Le contorsioni post-ideologiche hanno annebbiato la visione di quel che è rimasto in Europa della sinistra incapace di riconoscere la realtà che per definizione non è “populista” nel senso negativo che correntemente viene dato al termine, bensì popolare. Vale a dire plasmata quasi spontaneamente dai bisogni, dagli interessi, dalle paure, dalle sofferenze, dalle speranze e perfino dagli ideali (laddove si manifestano) della gente comune.
Perché la maggioranza degli austriaci si riconosce nel “partito unico”, che tale è nei fatti la coalizione, per il momento virtuale, formata dai post-democristiani dell’Õvp e dai nazionalisti del Fpö di Sebastian Kurz ed Heinz-Christian Strache? La risposta non è soltanto nella negatività pessimistica che adombrano gli analisti funzionali alla sinistra sconfitta secondo i quali le ricadute politiche dell’immigrazione favoriscono l’ascesa di movimenti che si oppongono all’islamizzazione e, dunque, alla perdita dell’identità. Certo, c’è anche questo nel voto austriaco come in quello recente tedesco e nell’ascesa di forze analoghe in tutta l’Europa, in particolare nei Paesi dell’Est. Ma la riduzione alla questione migratoria è limitativa per comprendere quanto si sta producendo nel campo una volta detto “progressista”.
C’è uno Stato sociale traballante, un Welfare costosissimo ed inadempiente, una dilatazione dei bisogni che vengono coperti dalla necessità di assecondare nuovi diritti da parte della sinistra al fondo delle scelte di elettorati che vedono la precarietà dilatarsi spaventosamente, mentre lo sconfinamento di modelli culturali nelle loro realtà comunitarie sta colonizzando il loro modo di vivere.
Se all’americanismo acquisito si associa un islamismo sottile attraverso la pratica dello smantellamento delle istituzioni culturali e perfino del sentire comune degli europei operato dalla sinistra più che “inclusivista” stupidamente incline alla relativizzazione, la gente non sa più chi è, chiede protezione, invoca un ordine civile che sembra dissolto dopo decenni di contorsioni operate nelle strutture portanti delle società europee, dalla famiglia alla scuola. Esempi se ne potrebbero fornire a iosa per dimostrare come la “diversità” abbia fatto premio sulla identità: tanto per semplificare, il crocifisso nelle scuole non può essere considerato un’offesa per chi è aduso ad indossare il velo e riconoscere un sentimento patriottico non deve essere il pretesto per la condanna in blocco della storia di nazioni che alla loro tradizione dovrebbero tenerci piuttosto che rimuoverla.
Ovunque – e perfino Emmanuel Macron, fuoriuscendo dalla sinistra, se n’è fatto consapevole – le ragioni delle nazioni e della necessaria solidarietà non possono essere affossate da un ideologismo umanitario che ai diritti dei popoli nulla riconosce, mentre è pronto a difendere l’individualismo statalista nel campo della genetica, della manipolazione degli esseri umani, nella distruzione della famiglia tradizionale fondata sulla diversità dei generi, e via elencando.
E’ molto più sottile la ragione della rivolta conservatrice che sta prendendo forma. Populista? Importa sempre di meno alla gente la definizione che si applica a fenomeni estesi e convincenti. Il giorno in cui intellettuali onesti racconteranno sul serio cos’è il populismo, alla sinistra verrà meno anche questo ultimo asset. Ma è probabile che allora la sinistra stessa non ci sarà più, come la destra del resto che va assumendo connotazioni nuove ed inconoscibili da chi ancora ragiona secondo schemi del passato lontani dalle sensibilità nuove.