Le tavole della legge parlano chiaro. L’articolo 19, comma 8 (legge 262 del 2005) prevede una procedura rinforzata per la nomina ed l’eventuale revoca del Governatore della Banca d’Italia. La proposta compete al Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. La nomina è quindi disposta con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia. Organo collegiale (da non confondere con il Direttorio), composto dai 13 membri cui spetta il controllo di tutta l’attività dell’Istituto.
Una procedura così complessa si giustifica tenendo conto sia del ruolo della banca, sia dei vincoli europei. La sua indipendenza è garantita dai Trattati, essendo parte integrante della Sebc, il sistema delle banche centrali europee, di cui la Bce rappresenta il nucleo centrale. L’iter previsto non va concepito secondo un diagramma lineare. Le consultazioni preventive tra i vari soggetti coinvolti avvengono nel rispetto di quei criteri di riservatezza che la questione richiede. Onde scongiurare l’eventualità di un possibile, quanto improbabile conflitto, destinato a pesare sui complessivi equilibri costituzionali.
Se questo è il quadro giuridico, cosa c’entra una mozione non del Parlamento, ma della sola Camera dei deputati? Assolutamente nulla. La sua presentazione era ammissibile? Altro piccolo grande mistero, se si tengono a mente le prassi consolidate del passato. Senza contare un’ulteriore complicazione. Il voto favorevole espresso dall’Assemblea anticipa le conclusioni della Commissione d’inchiesta sulle banche, il cui compito era appunto quello di indagare sui comportamenti tenuti dalla Vigilanza dell’Istituto in relazione ai piccoli e grandi fallimenti che hanno coinvolto il sistema del credito. Lavoro che diventa, in larga misura inutile, visto il tenore della mozione approvata. Il cui dispositivo, benché mascherato da vaghe fumisterie – l’accento ad una incomprensibile “nuova fase” – ha, tuttavia, il preciso significato di impedire il rinnovo di Ignazio Visco, alla carica di Governatore.
Giusto e sacrosanto, quindi, l’intervento tempestivo del Presidente della Repubblica, che ha imposto uno stop e reso quanto mai più difficile l’eventualità di un bis al Senato. Sergio Mattarella ha ricordato a tutti che “le prese di posizione riguardanti Bankitalia debbano essere ispirate a esclusivi criteri di salvaguardia dell’autonomia e indipendenza dell’Istituto”. E che eventuali valutazioni devono essere assunte “nell’interesse della situazione economica dell’Italia e della tutela del risparmio degli italiani”. Principi ai quali “deve attenersi l’azione di tutti gli organi della Repubblica, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo”. Quindi se non proprio un autogol, almeno un fallo da rigore. Che investe inevitabilmente lo stesso Matteo Renzi: non perché ne sia stato l’ispiratore – non abbiamo elementi – ma in quanto segretario del partito che ha malamente giocato, seppure di rimessa rispetto alla preventiva iniziativa dei cinque stelle, la partita.
Che da parte della Camera dei deputati si sia trattato di un’interferenza impropria è quindi evidente. Forse la complessa procedura valutativa prevista dalla norma, si era dimostrata inadeguata? Nella sua prima applicazione, all’indomani dei drammatici avvenimenti antecedenti le dimissioni di Antonio Fazio, aveva portato alla nomina di Mario Draghi, il cui prestigio personale è tale da non richiedere alcun elemento rafforzativo. Divenuto presidente della Bce – e che presidente! – lo scettro era passato nella mani di Ignazio Visco. Non era stata una scelta semplice, vista la presenza di più candidati. Nulla da eccepire. Anzi ben venga una pluralità di aspiranti. L’importante è che vi sia qualcuno che si assuma la responsabilità della scelta definitiva. Se poi questa è garantita dalla pluralità degli apporti, previsti dall’ordinamento giuridico, ancora meglio.
Quindi era bene evitare la frittata. Tanto più che il parere favorevole del governo è stato espresso dal sottosegretario all’Economia. Il che apre un secondo problema. Era nelle sue competenze? Trattandosi di materia riservata al consiglio dei ministri, forse avrebbe richiesto, anche in questo caso, una procedura rafforzata. Comunque più garantista. Qualcosa di simile all’opposizione del voto di fiducia, che richiede la presenza in Aula del ministro per i rapporti con il Parlamento. Non sappiamo se questa delega eccezionale sia stata concessa. Né se il presidente Gentiloni abbia autorizzato o meno. E forse è meglio non saperlo. Consideriamo, allora, l’episodio per quel che realmente è stato. Tentativi, sempre un po’ maldestri, che caratterizzano gli eccessi di furbizia. Inevitabilmente destinati a trasformarsi in un boomerang per sprovveduti apprendisti stregoni.