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Vi svelo autori e omissioni del pasticciaccio brutto su Visco e Banca d’Italia

Ora che il delitto di lesa maestà (Presidente della Repubblica e del Consiglio) è stato consumato, mentre fuori infuria ancora la polemica, conviene scandagliare i luoghi del crimine. Che si snodano in quel quadrilatero della politica che coinvolge i palazzi che contano: Quirinale, Camera dei deputati, Senato della Repubblica e Banca d’Italia. Facendo parlare gli atti, che sono pietre, e non il semplice bla-bla delle dichiarazioni postume. Ingredienti di un dramma che somiglia sempre più al teatro dell’assurdo, e getta una luce sinistra sul paludato rito laico della democrazia. Quell’insieme di procedure, regolate dalla legge e dai Regolamenti parlamentari, che ne rappresentano il lievito.

Tutto inizia lo scorso 25 settembre quando il deputato Ferdinando Alberti, esponente dei 5stelle e controllore seriale dell’attività del Governo (decine di interrogazioni e risoluzioni al suo attivo) presenta la mozione n. 1-01707, che poi modificherà il successivo 17 ottobre: data in cui viene consumato il delitto. Il testo è particolarmente pesante. Si accusa la Banca d’Italia di non aver esercitato un controllo adeguato sul sistema bancario, consentendo ai singoli Istituti una “mala gestione del credito”; di aver favorito indebitamente l’acquisizione dei singoli istituti da parte delle banche maggiori; di non aver dato seguito alle numerose denuncie dell’Adusbef, in tema anatocismo (la pratica di far pagare gli interessi sugli interessi). Ragione per cui impegna il Governo ad ” escludere l’ipotesi di proporre la conferma del Governatore in carica, Ignazio Visco”. Ormai prossimo alla scadenza.

Era ammissibile? Questo era il primo problema, che attiene all’esclusiva responsabilità del Presidente della Camera. Varie le ragioni che si potevano eccepire. Com’è ormai noto la nomina, come la revoca, del Governatore della Banca d’Italia, sono il risultato del convergere di due distinte volontà: quella di Paolo Gentiloni, su delibera del Consiglio dei Ministri, e di Sergio Mattarella, sentito il Consiglio superiore della Banca d’Italia. La formula usata dall’articolo 19 della legge 262 del 1995 è diversa da quella prevista per la nomina dei vertici degli altri Enti pubblici, per esplicita disposizione dell’articolo 3 della legge 400 del 1988. Dove la procedura ordinaria – semplice DPR che certifica la volontà del Governo – non può essere applicata “per le nomine relative agli enti pubblici creditizi”. In questo secondo caso la nomina stessa è invece “disposta” con decreto del Presidente della Repubblica: segno, come si diceva, del convergere di due distinte volontà.

Seconda eccezione: l’esistenza di una specifica Commissione d’inchiesta che operava nello stesso perimetro indicato dalla mozione. In genere quando il Parlamento ricorre a questo strumento, si spoglia di una parte delle sue ordinarie funzioni di controllo in quanto delegate ad un Organismo specializzato. Questione non solo di buon senso. Evitare indebite interferenze è elemento di trasparenza: tanto più che la Commissione opera con i poteri e le limiti dell’Autorità giudiziaria. Nel processo non si hanno giudizi sommari, come può avvenire nel corso della discussione di una mozione in Aula. Ma esistono strumenti di garanzia a favore degli eventuali imputati. Sempre che Ignazio Visco potesse essere considerato come tale. Si aggiunga che trattandosi di una Commissione bicamerale, per giunta presieduta da un Senatore, era necessario non ledere, come sempre è avvenuto, le prerogative dell’altro ramo del Parlamento. Sono stati fatti i passi necessari – le cosiddette intese – prima di procedere alla calendarizzazione della mozione? Non è dato saperlo.

Terza eccezione: lo status particolare della Banca d’Italia, la cui autonomia e indipendenza è garantita dai Trattati europei. Tanto più che il Governatore della Banca è membro di diritto del Consiglio generale della BCE. Ragione per cui invasioni di campo, da parte della politica nazionale, andavano comunque evitate.

Il giorno dopo la presentazione della mozione – il 26 settembre – la Conferenza dei Presidenti di gruppo, con una sollecitudine degna di miglior causa, iscrive la mozione Alberti nel Calendario dei lavori. Fu quella una seduta importante durante la quale si fissò la data di inizio della discussione (il 10 ottobre) della legge elettorale. Argomento che catturò, forse, l’attenzione dei presenti. Compresa quella del Rappresentante del Governo. Colà si poteva rimediare alla svista iniziale. Chiedere, ad esempio, un semplice rinvio nell’iscrizione della mozione grillina nel futuro ordine del giorno della Camera, facendo valere le ragioni d’ordine giuridico, oltre che politico, che sconsigliavano una decisione frettolosa. Non se ne fece nulla: disattenzione, fair play con il Movimento 5 stelle pronto a fare le barricate sulla legge elettorale, reconditi pensieri di natura politica? Chi può dirlo. L’unica certezza è che il Governo non potrà sostenere, in seguito, la tesi di essere all’oscuro.

Il resto è ancora più sconfortante. La discussione sulla mozione grillina inizia lunedì 16 ottobre. I più lesti ad inserirsi sono i Leghisti, che presentano una loro specifica mozione, subito seguiti da Sinistra italiana. Gli altri gruppi, invece, latitano. Le rispettive mozioni, compresa quella della maggioranza (PD e Alternativa popolare) vedrà la luce solo nella tarda mattinata del giorno successivo. A quel punto della discussione erano possibili solo due alternative: far respingere tutte le mozioni presentate, oppure far convogliare i voti della maggioranza su un nuovo testo, da concordare preventivamente con il Governo. Ed è qui che nasce il giallo sul difetto di comunicazione. Il documento era stato trasmesso a Palazzo Chigi? Gentiloni ne era a conoscenza? Sembrerebbe di no: visto che il rappresentante del Governo, in Aula, messo alle strette, è costretto a proporre delle modifiche al testo della maggioranza, pena l’espressione di un parere contrario.

A seguito di questi continui e ripetuti pasticci, la mozione della maggioranza, alla fine, viene approvata in un testo edulcorato. Il suo dispositivo impegna il Governo ad individuare, per la carica di Governatore della Banca d’Italia “la figura più idonea a garantire nuova fiducia nell’Istituto”. Dove tutto il carico, per così dire, “eversivo” è racchiuso nell’aggettivo “nuova”. Forse troppo poco per incidere sulle future scelte di Gentiloni e Mattarella. Ma tale da generare comunque un vulnus nella credibilità complessiva del Paese: sia sul piano interno che su quello internazionale. Qualcosa di cui non si sentiva proprio il bisogno.


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