I terminal libici di Mellitah sono usciti dal controllo del clan armato Dabbashi e finiti in mano a una mini-coalizione di milizie guidata da una che va sotto il nome di “Operations Room”. Gli scontri, che hanno coinvolto anche l’area di Sabratha (sempre nell’ovest libico), sono durati tre settimane e si sono risolti, almeno momentaneamente, in questi ultimi due giorni.
PERCHÉ INTERESSA ALL’ITALIA
Per l’Italia ci sono diverse questioni da registrare come “interesse nazionale”. Mellitah è il luogo dove ha sede l’hub dell’Eni in Libia, e la famiglia Dabbashi era quella che dal 2015 garantiva la sicurezza dell’impianto, secondo un accordo tra privati stretto dalla società italiana e il gruppo libico. Per il momento un comunicato ufficiale dal terminal dice che i lavori all’impianto continueranno perché la sua funzione è cruciale. Inoltre la brigata del Martire Anas al Dabbashi (questo il nome completo) è una delle due milizie (l’altra si chiama Brigata 48) con cui il ministero dell’Interno di Roma ha chiuso ad agosto l’intesa per il controllo del traffico di migranti, che vede a Sabratha un rubinetto nevralgico per le rotte mediterranee; con i vertici dell’unità armata si sarebbero incontrati uomini dell’intelligence italiana per preparare i dettagli operativi del piano. Per chiudere il giro, Operations Room, il principale gruppo armato che ha scacciato i Dabbashi, è collegata apertamente al maresciallo di campo Khalifa Haftar, uomo simbolo dell’opposizione al processo onusiano sponsorizzato anche dall’Italia, che consiste nel creare un governo di unità nazionale guidato da un wannabe premier, Fayez Serraj.
I DABBASHI, LA LIBIA
I Dabbashi sono un gruppo non irreprensibile: li guidano due fratelli che un tempo, prima di essere inglobati dal ministro dell’Interno Marco Minniti nel suo ambizioso piano libico (di controllo dell’immigrazione, e forse di stabilizzazione) erano parte del problema, perché facevano i trafficanti. Fonti locali di un’inchiesta dell’Associated Press li definiscono “i re dei migranti a Sabratha” (questo genere di intrecci non è una rarità in Libia: per esempio, un report dell’Onu uscito pochi mesi fa dice che l’attuale capo dei miliziani riciclati come guardia costiera libica non è altro che un ex capo clan che un tempo faceva il trafficante). Sempre sui Dabbashi: secondo Daniele Raineri del Foglio, un ex membro della famiglia che controllava Sabratha era anche diventato il capo dello Stato islamico locale con il kunya “Abu Maria” – ossia fu colui che, baghdadista discreto come erano quelli di Sabratha, guidò le operazioni di sequestro dei quattro tecnici italiani, di cui due rimasero uccisi a marzo dello scorso anno durante le fasi di liberazione e spostamento. Spiega Raineri su Facebook: “Questo non vuol dire che ci fosse complicità, ma è interessante: dentro lo stesso clan e nella stessa piccola città ci sono sia forze di sicurezza (fedeli a Serraj, ndr) sia uomini dello Stato islamico”.
CHE NE SARÀ DEL PIANO MINNITI?
Se salta Sabratha, salta anche il piano Minniti? Alla domanda forse è presto per rispondere, ma c’è la possibilità che l’Italia ricicli il tutto spostandolo sotto l’egida di Haftar. Il capo dell’Operations Room, Omar Abduljaleel, ha ovviamente già dato la sua disponibilità in una dichiarazione alla Reuters. Da qualche settimana, i contatti andata e ritorno da tempo aperti tra Roma e Bengasi (roccaforte del generalissimo cirenaico) si sono intensificati (e con loro i collegamenti con la Francia). Il 26 settembre il libico, che ha spalle coperte da Russia ed Egitto, era a Roma: ha avuto incontri con i ministri di Interni e Difesa, e pare con funzionari dei servizi. Sul tavolo immigrazione e Mellitah, e forse Haftar è un’exit strategy a cui l’Italia si trova costretta ora più che mai che i suoi hanno spazzato via i partner di Roma da Sabratha. Come molte cose in Libia, c’è un livello di complicazione ulteriore: l’Ops Room in passato aveva dichiarato il suo appoggio a Serraj, ora Haftar dice che gli è fedele (e gli è fedele anche il battaglione Al Wadi, un gruppo armato salfita che da tempo sta aumentando la sua influenza a Sabratha, in contrasto con le iniziative di Serraj). C’è chi crede che l’inizio degli scontri a Sabratha sia da collegarsi a gelosie locali, esplose dopo che l’Italia ha stretto contatti e accordi con i Dabbashi sull’immigrazione, facendoli diventare il braccio armato della legittimazione internazionale a Tripoli – cosa che Haftar detesta.