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Mercer lascerà il suo fondo di investimento e si dissocia da Bannon

Stephen Bannon - Youtube

C’è una notizia piuttosto politica che sta rimbalzato sui media americani (su Formiche.net l’ha analizzata Cristoforo Lascio): dal primo gennaio del prossimo anno Robert Bob Mercer lascerà la guida di Renaissance Technologies, l’hedge fund multimiliardario che dirigeva dal 2010. Resterà nel consiglio tecnologico (nel comparto che supervisiona gli algoritmi con cui vengono gestite le negoziazioni finanziarie), ma molla il trono. Si diceva che questa non è soltanto una questione che riguarda il mondo della finanza internazionale, ma è una faccenda politica, perché Mercer è il grande finanziatore dietro al progetto di portare Donald Trump alla presidenza.

Di più: attualmente è considerato dai retroscenisti americani come il portafoglio del progetto di Steve Bannon, l’ex stratega di Trump e ideologo del trumpismo, che ha l’obiettivo di costruire attorno al presidente un Partito Repubblicano beposke. Sponsorizzare candidati alle mid term del prossimo anno allineati sulla linea di Trump, scalzare gli incumbet troppo vicini all’establishment, in un piano che Bannon ha descritto come “una guerra” al partito; la formula chimica s’è finora sintetizzata nelle elezioni suppletive in Alabama, dove il rimpiazzo per il seggio al Senato lasciato vuoto dall’attuale segretario alla Giustizia è stato vinto dal candidato più trumpiano, appoggiato da Bannon, con la sconfitta con quello sostenuto dal partito. Insomma, il nome di Mercer ha significato finora gli indispensabili soldi dietro a questo piano.

Ora però il finanziatore ha avuto un moto di distacco da SB: ha ceduto le sue quote di Breitbart News (il megafono prototrumpista creato da Bannon, trincea da cui lo stratega è tornato a sparare dopo essere stato fatto fuori dalla Casa Bianca) alle figlia; la maggiore, Rebekah, è un’altra donor repubblicana e parte, per lo meno finora, del progetto nazionalista bannoniano. Nel memo inviato a dipendenti e investitori, che Bloomberg ha visto in esclusiva, c’è scritto: “La stampa ha anche detto che la mia politica marcia in blocco con quella di Steve Bannon. Ho grande rispetto per il signor Bannon e, di tanto in tanto, discuto con lui di politica. Tuttavia, faccio le mie decisioni in relazione a chi sostengo politicamente. Queste decisioni non sempre si allineano con [le visioni del] signor Bannon”.

In un passaggio della lettera d’addio c’è tutta la differenza tra l’essere un repubblicano, conservatore e aggressivo, e l’essere la deriva nazionalista simil-razzista bannoniana che in Trump ha trovato trasformazione solida ai desideri degli elettori: “La cosa più ripugnante per me sono stati le allusioni al fatto che sia un suprematista bianco o un membro di un altro gruppo nocivo […] La discriminazione in base alla razza, all’etnia, al sesso, al credo o a qualunque cosa di questo genere, è aberrante per me”. Di fatto questa è una vittoria dell’establishment del partito.

C’è anche una aspetto pragmatico: Mercer nella lettera ha ricordato di aver 71 anni, gli stessi in cui il suo mentore e predecessore James Simons si ritirò. Ora il suo link con Bannon sta creando problemi al fondo, oggetto di un campagna di boicottaggi, e l’età è un ottimo vettore per dire addio.

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