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Trump in Cina, ecco gli affari abbozzati tra aziende americane e cinesi

Dalla torta al cioccolato nel residence americano di Mar-a-Lago in aprile alla cena al Jianfu Palace di Pechino della scorsa notte sono passati sette mesi, eppure il presidente americano Trump continua a rivolgersi al presidente cinese Xi Jinping come fossero amici da una vita. Sorprende, dopo un’estate che non ha risparmiato colpi da entrambe le parti, con la tensione salita alle stelle su dossier come i diritti di proprietà intellettuale, l’annoso ostacolo della concorrenza cinese falsata da Pechino e ultimo, non certo per importanza, il cruccio sulle mattane nucleari della Corea del Nord.

Tutta acqua passata, garantisce Trump fra una tazza di the e un’altra, puntando il dito sull’amministrazione Obama per aver permesso al deficit americano di ingrassare indisturbato.

Per il governo cinese solo qualche tiepida tirata per le orecchie: “Il commercio fra gli Usa e la Cina in questi anni non è stato molto leale”. Messe da parte le vecchie (si fa per dire) discordie, Trump e Xi hanno saputo fare un passo indietro per lasciare il palco ai veri ospiti d’onore del ricevimento a Pechino. Ovvero alla schiera di businessmen americani accorsi alle spalle di Trump e del segretario per il Commercio Wilbur Ross per incontrare, in rappresentanza delle più grandi multinazionali a stelle e strisce, i colleghi del Dragone. Non è un caso se Trump non ha nemmeno considerato l’idea di ritornare in patria dopo la sanguinolenta sparatoria in Texas, che ha lasciato sul pavimento di una chiesa a Sutherland Spring 26 morti. Impossibile abbandonare Pechino quando sul tavolo ci sono accordi commerciali per quasi 250 miliardi di dollari. A tanto ammonterebbe il valore di facciata dei numerosi memoranda of understanding firmati giovedì durante una cerimonia ufficiale alla presenza dei due presidenti.

I numeri sono rilevanti, l’effetto stimato sull’occupazione americana anche, ma resta una falla di fondo: nessuna delle intese concordate a Pechino è vincolante. Su tutte spicca per dimensioni la proposta della China Energy Investment Corp. di un investimento ventennale da 83.7 miliardi di dollari nello stato del West Virginia, solidissimo feudo elettorale trumpiano. Con l’accordo, firmato dal Segretario del Commercio Wood Thrasher e dal presidente di China Energy Ling Wen, la multinazionale cinese potrà mettere le mani sui ricchi giacimenti di gas naturale dello Stato americano, oltre che avviare progetti pluridecennali nel chimico e nell’energetico.

Sul podio al secondo posto esultano lo Stato dell’Alaska e il suo governatore Bill Walker. Un accordo da 43 miliardi di dollari, in preparazione da diversi anni, spiega Bloomberg, e approvato dalle autorità federali in aprile, fra il gigante dell’energia cinese Sinopec, la China Investment Corp.,la Bank of China e l’Alaska Development Corp., darà il via, se ratificato, ad un progetto di estrazione di gas naturale nel gelido stato americano.

Quanto al settore dei trasporti, ci si aspettava più rumore dai motori della Boeing, colosso aeronautico con base a Chicago e decine di migliaia di lavoratori negli States. L’annuncio in pompa magna dell’acquisto da parte della China Aviation Supplies Holding di 300 aeroplani per un totale di 37 miliardi di dollari interroga gli esperti. Una fonte anonima dal lato cinese ha confidato a Bloomberg che si tratta di un maxi-acquisto già concordato nel 2013, dunque in piena era Obama, e la consegna era prevista per il 2020.

Meno roboante nei numeri, ma altamente strategica l’intesa con scadenza triennale con cui la multinazionale cinese JD.com Inc. ha promesso di acquistare e rivendere 2 miliardi di dollari di carne di manzo e maiale dai produttori statunitensi della Montana Stock Growers Association. L’export di manzo statunitense in Cina fa notizia perché, prima che Trump e il segretario per l’Agricoltura Sonny Perdue firmassero in Florida un memorandum of understanding con i cinesi, gli allevatori di manzo (numerosissimi, specie in Nebraska) non avevano potuto esportare un etto di carne a Pechino, a causa dei controlli ferrei e di una concorrenza non sempre leale. Da quando però le prime costolette del Nebraska sono apparse nei supermercati cinesi a giugno, in Cina è nata una vera caccia alla carne statunitense, e il mercato è in crescita esponenziale.


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