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Sfide e rischi della rivoluzione di Mohammed bin Salman in Arabia Saudita

Libano

L’Arabia Saudita è stata negli ultimi giorni al centro di varie notizie, che riassunte in estrema analisi, sono potenzialmente foriere di un’instabilità regionale che rischia di finire fuori controllo, spiega a Formiche.net Giuseppe DenticePh.D Student Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, e ISPI Researcher nel Programma Mediterraneo e Medio Oriente. “Ci siamo abituati al passo storico della diplomazia saudita, silenziosa, molto formale, legata al protocollo. Ora invece le nuove leve sono molto più rumorose, e sfruttano a dovere gli aspetti mediatici e propagandistici”.

SOVVERTIRE I CANONI

Negli ultimi giorni da Riad è arrivato il pesante annuncio delle dimissioni del primo ministro libanese Saad Hariri e il giorno successivo sono stati resi pubblici gli arresti che il comitato anti-corruzione creato dall’erede al trono Mohammed bin Salman ha ordinato nei confronti di uomini dell’establishment politico ed economico. La mossa della scorsa settimana di bin Salman è il passo finale, più esplicito, di un processo avviato da tempo: “La linea dell’erede al trono è fortemente in contrasto con la tradizione impostata dai chierici e da quella parte di sfera civile potente che ha intrecci profondi con la famiglia reale”, spiega Dentice: “Potremmo dire che bin Salman sta sovvertendo i canoni fondanti dell’Arabia Saudita, e lo sta facendo coinvolgendo la fascia sociale più giovane (la sua) su temi come la corruzione o la disoccupazione giovanile, tutti messi sotto i riflettori dei media, che bin Salman sta allineando sul suo messaggio. In altre regioni del mondo potremmo anche definirlo un approccio populistico per come vengono affrontati certi argomenti, ma in Medio Oriente è, diciamo, normale che un uomo forte affermi la suo linea con la forza”.

IL CONSOLIDAMENTO DEL POTERE

Il consolidamento del potere di bin Salman è passato dalla sfera politica a quella militare: tra gli ultimi arresti, che in molti descrivono come purghe, c’è anche quello del capo della Guardia nazionale, l’ultimo settore della sicurezza saudita che ancora non rientrava nell’orbita del nuovo sovrano. O ancora al settore economico-finanziario, contro elementi che forse stavano rallentando dall’interno il suo programma di differenziazione del tesoro saudita dal petrolio. Mesi fa, invece, era toccato al settore teocratico, l’altro polo di potere nel regno: alcuni predicatori troppo intransigenti erano finiti in manette prima di stress test d’apertura, come la concessione di guidare alle donne; pezzi del puzzle con cui bin Salman vuole ricostruire in Arabia Saudita un Islam moderato, abbandonando le posizioni più estreme calcate nel tempo.

I PROBLEMI ALL’ESTERO

“Però, se sul fronte interno le cose procedono meglio, la politica estera di questo grande piano del futuro re è disastrosa, perché non può pensare di coniugare i canoni di politica estera con i modi interni”, aggiunge Dentice. “Pensiamo alla Siria, dove i sauditi hanno appoggiato i ribelli che però sono stati schiacciati dal regime con l’indispensabile aiuto russo e iraniano. Oppure all’intervento militare contro gli Houthi in Yemen: col sostegno di Teheran i ribelli yemeniti, nonostante la superiorità tecnologica militare saudita (e del gruppo di paesi sunniti che Riad s’è portata dietro), sono ancora lì. Oppure all’isolamento al Qatar, che non sta portando niente di buono”. Da tutti questi scenari, esce la volontà del nuovo corso saudita di giocare anche un ruolo più assertivo nelle dinamiche regionali contro l’Iran, coinvolgendo anche altri attori come Israele (protagonista nella situazione innescata in Libano). “Qualche giorno fa, il giornalista di Canale 10 israeliano Barak Ravid – aggiunge Dentice – ha pubblicato su Twitter un cablogramma (è in ebraico, ndr) che riporta la linea che il governo di Gerusalemme sta dettando alle ambasciate: si chiede di appoggiare la postura saudita sul contrasto regionale all’Iran, e di far pressioni in questo senso anche sulle altre diplomazie”. Una nota: nel comunicato interno israeliano si parla anche della lotta agli Houthi in Yemen: un’altra causa da appoggiare, con il lancio del missile contro Riad di sabato scorso, per Gerusalemme, che – dicono i funzionari israeliani – dimostra che l’Iran è un attore aggressivo e pericoloso, e giustifica la lotta dai cieli che gli israeliani stanno facendo contro i trasferimenti di armi che Teheran sta passando agli Hezbollah, facilitato dal caos siriano.

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