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Perché dovete temere le fake news russe alle prossime elezioni. Parla Czuperski (Atlantic Council)

In pochi possono vantare un curriculum come quello di Maksymilian Czuperski. Nato in Polonia, cresciuto in Austria, lavora da anni come consigliere del presidente dell’Atlantic Council, potente think tank statunitense, con uno scopo in particolare: combattere la disinformazione mediatica e le fabbriche di fake news che minano il regolare svolgimento delle elezioni democratiche. “Non c’è niente di strano nella mia giovane età” sorride in una conversazione con Formiche.net a latere di un incontro organizzato dalla Associazione Amerigo. Czuperski è in Italia in questi giorni. E in vista delle elezioni nel 2019 chiede a tutti di vigilare sulle elezioni di marzo per resistere all’interferenza di una potenza mondiale: la Russia di Putin. Ecco la sua conversazione con Formiche.net:


Crede che il pericolo di un’interferenza russa nelle prossime elezioni italiane sia reale?

Sappiamo che i russi sono intervenuti nella Brexit e nelle elezioni francesi, sappiamo che i partiti italiani di estrema destra hanno preso soldi dal Cremlino, dunque sì, c’è il rischio di una disinformazione pilotata da Mosca alle prossime elezioni. Chiunque pensi che Vladimir Putin non sia coinvolto nelle elezioni americane o europee è un illuso. Non scordiamoci che Putin è il prodotto dei servizi di intelligence sovietici.

La Russia è l’unico Paese che interviene così pesantemente nel processo democratico di Stati stranieri?

Tutti gli Stati difendono i propri interessi. La Russia è comandata da un regime autoritario, dove i giornalisti non possono parlare apertamente, la legittimità delle elezioni è dubbia, non esistono i principi liberali su cui sono fondate le civiltà occidentali.

Agenzie come Sputnik o Russia Today sono complici nella diffusione di fake news?

Russia Today e Sputnik seguono un metodo preciso: prendono una parte della notizia, e la gonfiano deliberatamente per decontestualizzarla. E lo fanno con grande capacità comunicativa, mettendo in bella mostra i titoli degli articoli e non il contenuto.

Lei ha lavorato molto con l’Atlantic Council sul conflitto in Ucraina. Che ruolo ha giocato la propaganda russa nella crisi in Crimea?

Quando Yanukovich in Ucraina ha deciso di allontanarsi dall’Europa per avvicinarsi alla Russia, nel Paese prese piede una rivoluzione del tutto pacifica, per lo più di giovani. Basti pensare che a Maidan durante le prime manifestazioni un cordone di vecchiette riprendeva i ragazzi impendendo loro di bere alcool per evitare di cadere nella violenza. Putin prese il controllo del più grande social network russo, VKontakte, all’epoca di proprietà di Pavel Durov, per vagliare qualsiasi comunicazione sui social in Ucraina.

È riuscito nei suoi intenti?

Sì, ma la strategia gli si rivolse contro. Quando i soldati dell’esercito russo entrarono sui social networks dall’Ucraina, fu chiaro che quel che dichiarava Putin, cioè che l’esercito russo non aveva mai varcato il confine, era falso.

In questi ultimi anni ha seguito da vicino il conflitto in Siria. Anche qui Mosca ha fatto un uso massiccio di propaganda falsa?

Il problema di questi conflitti con più di due attori in gioco è l’inflazione di fake news e propaganda, che diventano più difficili da filtrare. Quando la Russia ha iniziato a supportare l’atroce regime di Assad, Putin promise all’Onu che avrebbe combattuto l’Isis in Siria. Non appena iniziò la campagna aerea, la gente comune cominciò a confrontare i video dei bombardamenti postate dai russi sui social con le immagini di google maps.

E cosa hanno scoperto?

Semplice. Che quelle aree bombardate non appartenevano all’Isis, per stessa ammissione del Cremlino. Quando realizzi che Putin non ha mantenuto la parola data all’Onu, cominci a chiederti perché la Russia sia intervenuta in Siria. Oggi lo sappiamo: colpire gli jihadisti era un effetto collaterale, il primo obiettivo era consolidare il regime di Assad. Non è un caso che presto i russi hanno smesso di parlare di Isis, rivendicando attacchi contro i “terroristi”, un termine assai più generico.

E cosa pensa degli attacchi chimici come quello di Ibril ad aprile o i bombardamenti degli ospedali? Su questo si è fatta poca luce.

Tra dicembre 2016 e febbraio 2017 abbiamo osservato un aumento dell’uso di attacchi chimici e di bombardamenti agli ospedali da parte della coalizione di Assad. All’inizio i russi postarono foto false di ospedali intatti a loro difesa. Poi dissero di non essere responsabili degli atttacchi aerei. L’ospedale Omar bin Abdelaziz di Aleppo è stato continuamente bombardato dai russi in nove mesi: è la prova di una strategia precisa del Cremlino per ridurre in ginocchio i ribelli e l’opposizione in quelle zone. Aleppo è stata distrutta, non liberata, dalla Russia.

Ci sono prove a sufficienza per supportare il Russiagate contro Trump? Non le sembra ci sia talvolta una caccia alle streghe contro chiunque conosca un russo?

Credo sia sempre facile mettere nel mirino una sola persona, come Donald Trump. Ricordiamoci però che Trump non è l’America, così come Putin non è la Russia, anche se vorrebbe che fosse così. Le indagini sono ancora in corso, è presto per dare un giudizio.

Che interesse aveva Putin a supportare la squadra di Trump in campagna elettorale?

Io credo che il vero obiettivo della Russia non fosse colpire Trump o Clinton, ma i fondamenti della democrazia americana. Putin ha raggiunto il suo obiettivo. Oggi molti americani mettono in dubbio la legittimità dei risultati di elezioni democratiche. E soprattutto in tutto il mondo si parla della Russia, che figura sulle prime pagine dei maggiori quotidiani tutti i giorni.

L’altro giorno Theresa May ha condannato davanti al Parlamento le interferenze russe nelle scorse elezioni. Da tempo poi nel Regno Unito si parla di un intervento russo a favore del Leave nel referendum per la Brexit. Lei crede che qualche migliaio di tweets possa davvero influenzare l’opinione pubblica?

Bisogna fare le dovute proporzioni: solo una parte degli aventi diritto si reca alle urne, quindi quelle decina di migliaia di tweets, se riescono a creare un trend efficace, possono fare la differenza. Settant’anni fa si faceva propaganda lanciando volantini dagli aerei: se non concordavi con quello che c’era scritto, nessuno poteva controbattere. Oggi invece diffondere fake news è molto più semplice: sono attentamente selezionate sulle preferenze dell’individuo, e arrivano sui nostri cellulari ogni mattina.



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