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I riflessi nazionali del voto a Ostia

Vince chi arriva primo. Poi c’è modo e modo di arrivare primi: al ballottaggio nel X Municipio di Ostia, Comune di Roma, è stato il candidato del M5S, Giuliana Di Pillo (nella foto), a conquistare la carica di minisindaco con il 59,6 per cento dei voti rispetto al 40,4 di Monica Picca (FdI, sostenuta anche da FI e Lega). I votanti, però, sono stati appena il 33,6 per cento con una diminuzione del 2,5 rispetto al già infimo livello di partecipazione del primo turno e nonostante i commenti entusiasti del sindaco di Roma, Virginia Raggi, il calo di consensi per il Movimento è sensibile: rispetto alle comunali dell’anno scorso, al primo turno di Ostia ha perso il 13,4 per cento (la Raggi ottenne il 43,6 in quel Municipio) e al ballottaggio oltre il 16 per cento (il sindaco arrivò al 76). E’ vero che Ostia è commissariata da due anni per infiltrazioni mafiose e dunque era difficile un effetto diretto dell’amministrazione Raggi, ma i risultati sono chiari.

I VOTI DI CASAPOUND…

Ostia ha ottenuto l’attenzione di tutti i media dopo l’aggressione di Roberto Spada, membro di spicco dell’omonimo clan mafioso, al giornalista di Nemo Daniele Piervincenzi: la pressione della criminalità sugli elettori è venuta così alla ribalta dopo il successo di CasaPound che ha toccato il 9 per cento. Monica Picca, candidata sconfitta, ha accusato i grillini di aver ottenuto i voti di CasaPound (orientati dal clan Spada) in alcune zone del litorale come l’Idroscalo dove “noi abbiamo perso e loro hanno guadagnato circa mille voti”. E’ difficile analizzare i flussi elettorali se alcuni bacini di voti sono controllati dalla criminalità e il candidato di CasaPound al primo turno, Luca Marsella, invitò pubblicamente i propri sostenitori “ad andare al mare” non dando nessuna indicazione, anche se fu l’unica formazione a non aderire alla marcia antimafia dopo l’aggressione al giornalista.

…E QUELLI DELLA SINISTRA

Se dunque a destra non è chiaro se e quanti voti della lista neofascista siano finiti al M5S, diversa è la situazione a sinistra che offre più di un elemento per un’analisi nazionale. Il Pd, che con Athos De Luca ottenne solo il 13,6 per cento, ha consentito la libertà di coscienza mentre Sinistra italiana, a sostegno dell’ex parroco Franco Di Donno che raggranellò l’8,6 al primo turno, e Mdp hanno dato indicazione di votare il M5S. In sintesi, in un ambiente demotivato come un territorio di circa 230mila abitanti alle prese con mille problemi sociali ed economici, l’aiuto della sinistra più estrema è stato probabilmente determinante nella vittoria dei grillini.

I RIFLESSI NAZIONALI

Chissà se Piero Fassino, nella sua estenuante mediazione di queste settimane per arrivare a un accordo a sinistra, avrà mai ripensato a quando fu eletto segretario degli allora Ds (Democratici di sinistra) al congresso di Pesaro del novembre 2001. Esattamente 16 anni fa nel dibattito precongressuale Fassino definì quell’appuntamento come una sorta di Bad Godesberg della sinistra italiana. Evocava la città (oggi distretto di Bonn) divenuta simbolo di una svolta da quando nel 1959 ospitò il congresso dei socialdemocratici tedeschi (Spd), che decise di abbandonare l’ideologia marxista abbracciando l’economia di mercato e la democrazia. Fassino cercava di costruire una forza di sinistra riformista per arrivare all’utopistica alternanza di governo con il centrodestra che pochi mesi prima aveva stravinto le elezioni: le cose andarono diversamente, visto che nel 2006 il centrosinistra rivinse di nuovo con un’alleanza che si frantumò due anni dopo.

Oggi i poli sono tre, conditi con un po’ di confusione e di astensionismo, e mentre Giuliano Pisapia, commentando Ostia, ripete che “il centrosinistra diviso non tocca palla”, Enrico Rossi, presidente della Toscana e uno dei fondatori di Mdp, ribadisce che “non è vero che uniti si vince” perché i voti del suo partito non sono automaticamente sommabili a quelli del Pd. Hanno ragione entrambi: riuscire a cucire un accordo, come sta tentando di fare Fassino, significherebbe condividere una base programmatica di cui però non si vede luce a meno di novità nella Legge di bilancio e di inimmaginabili cambi di rotta sull’immigrazione. Se la situazione attuale si ripeterà alle politiche, il Pd e i suoi ancora indefiniti alleati rischiano seriamente di arrivare terzi. Come a Ostia.


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