La Consob fa luce sul caso del Monte dei Paschi di Siena e svela i perché delle tribolazioni, con annessa mezza auto-assoluzione. Dopo i giorni delle accuse tra la Commissione di Borsa e Bankitalia sul crack delle banche venete, questa mattina il direttore generale della Consob Angelo Apponi (nella foto) è tornato in commissione banche per raccontare la verità sulla banca più antica del mondo. Sotto i riflettori sempre la gestione Mussari-Vigni. Domani sarà invece il turno di Bankitalia, mentre giovedì è in programma l’audizione dell’ad Marco Morelli.
LE COLPE DI MUSSARI&CO
Il primo attacco, contenuto in una relazione di oltre cinquanta pagine, riguarda l’occultamento da parte del vecchio management delle operazioni che hanno zavorrato il Monte, Santorini e Alexandria su tutte. La vecchia gestione di Mps “ha fatto di tutto per occultare alle autorità di vigilanza la realtà: si è trattato di un insieme di attività dolose”. Dunque, Mps “ha tentato di celare al mercato ed alle autorità di vigilanza gli effetti di transazioni non riuscite attraverso complesse operazioni di finanza strutturata”, ovvero Santorini e Alexandria.
CHE COSA HA AFFONDATO IL MONTE
Oltre a fare il passo più lungo della gamba con contratti azzardati (derivati), due sono sono stati i fattori che hanno portato la banca senese sull’orlo del baratro. Un’eccessiva esposizione sui titoli di Stato, utilizzati per coprire le perdite, e il buco post Antonveneta e l’impennata dei crediti deteriorati, frutto di prestiti concessi a pioggia. Su Mps “hanno inciso vari fattori, tra i quali assumono rilevanza la crescente esposizione in titoli della Repubblica italiana e l’incremento dei crediti deteriorati”, ha spiegato infatti il numero due della Consob presieduta da Giuseppe Vegas. In particolare, i titoli pubblici in pancia a Mps “hanno registrato un incremento da circa 4,1 miliardi del 2008 a 15,9 miliardi nel 2009, per raggiungere circa 25,9 miliardi nel 2012″, si legge ne documento. Per questo l’incidenza dei titoli di Stato sul patrimonio di vigilanza (Tier 1) di Mps era pari, nel 2011, al 210%, contro un tasso medio delle altre banche del Ftse Mib, pari in media al 132%.
IL RUOLO DELLA FONDAZIONE
Anche la Fondazione Monte dei Paschi, un tempo gran padrona del Monte ma poi diluitasi con l’ingresso del Tesoro, ha avuto un ruolo. “La Fondazione”, spiega Consob, “aveva omesso di comunicare al pubblico e alla Vigilanza informazioni rilevanti sui derivati, che avevano un impatto sulla sua partecipazione in Mps, sia in occasione degli aumenti di capitale del 2008 e del 2009, e nei relativi prospetti informativi”.
L’ATTACCO ALLA GERMANIA
Sui guai di Siena c’è lo zampino anche della Germania, tutto rigore e trasparenza. Non però se si tratta delle banche italiane. L’accusa della Consob alla Bafin, l’omologa tedesca, è durissima, visto che ha negato alla Consob italiana le informazioni richieste nel 2013 su Santorini, uno dei derivati non correttamente contabilizzati da Mps e fatto con la Deutsche Bank. “Bafin si è rifiutata di fornire informazioni, su operazioni poste in essere con controparte Nomura e Deutsche Bank Londra e dal veicolo Santorini”.
CONSOB SI AUTO-ASSOLVE
Fin qui l’elenco delle responsabilità su Mps. Sì, ma quelle della Consob? Apponi ha giocato ancora una volta la carta della difesa, dicendo in sostanza che quello che si poteva fare è stato fatto il prima possibile ma fare luce per tempo in casa Monte dei Paschi di Siena era di fatto impossibile e questo perchè “non c’è nessuna possibilità di catturare le frodi prima che si verifichino, si può cercare di catturarle prima possibile”. In questo quadro, spiega Apponi, la scoperta della natura e della finalità delle operazioni Alexandria e Santorini è stata possibile solo dopo “una lunga e complessa attività di indagine”. Fino al 2014, la Consob non aveva riscontrato elementi certi “che potessero far ritenere censurabile la contabilizzazione a saldi aperti adottata da Mps”. Ma solo dopo che la procura di Milano ha fornito all’Authority le carte su questi dossier, la Consob ha accertato gli illeciti.