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Perché è eccentrico trascurare la beatificazione di Sturzo

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I mezzi d’informazione, a parte poche eccezioni, hanno dato scarsa importanza al processo di Beatificazione di don Luigi Sturzo, fondatore del primo partito di cattolici in Italia, avvenuta il 24 novembre scorso nel Palazzo Lateranense a Roma. Il pensiero popolare evidentemente è considerato inattuale e irrilevante di fronte alle idee populiste e qualunquiste che imperversano in Italia e in Europa. Meglio affidarsi agli stereotipi della politica autoreferenziale, spettacolare, che fa immagine, audience, non importa se poi essa è impotente, sterile, inconcludente nell’affrontare i veri problemi dei cittadini comuni.

Il Partito Popolare Italiano (1919), scaturigine del pensiero popolare sturziano, fu il fatto politico più rilevante del Novecento. Lo storico Federico Chabod così si espresse in riferimento al partito di Sturzo: “L’avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo. Il comunista Antonio Gramsci ebbe a dire che con il PPI avrebbe assunto una forma organica e si sarebbe incarnato nelle masse il processo di rinnovamento del popolo italiano”. Sono significative attestazioni e rilevanti riconoscimenti, rivelatisi in seguito tutti veritieri e concreti, di intellettuali molto lontani dalla cultura cattolica. E si potrebbe ancora citare Benedetto Croce con il suo manifesto degli antifascisti pubblicato su Il Popolo, il giornale fondato da Sturzo.

Il PPI ebbe carattere aconfessionale, laico, democratico, nazionale, di ispirazione cristiana, un partito di “centro” che guardava soprattutto alla condizione della povera gente e alla realizzazione del bene comune secondo il dettato evangelico. Il prete di Caltagirone nella sua esperienza di segretario del partito, ma anche quando rientrò dall’esilio, dopo 22 anni, fu un tenace riformatore. Superata ormai la fase della democrazia borghese di stampo giolittiano, bisognava neutralizzare le forze conservatrici, responsabili della condizione di crisi istituzionale, politica, sociale ed economica che stava vivendo l’Italia nel dopoguerra.

Don Sturzo, che aveva respirato aria da non expedit (1874) e da Rerum Novarum (1891) aveva una considerazione alta della politica che doveva essere vissuta come imperativo morale, come atto d’amore verso il prossimo. Il suo impegno non poteva non essere a favore dei deboli e degli emarginati, in particolare. Fu costretto, a causa del fascismo, a subire l’umiliazione dell’esilio dopo il congresso del partito a Torino, durante il quale i popolari ufficializzarono l’uscita dal governo Mussolini. Bevve l’amaro calice con dignità e serenità. Accettò l’invito del Card. Gasparri a lasciare l’Italia per un superiore interesse generale, e il 25 ottobre 1924 si imbarcò per Londra. Mai polemizzò con le alte sfere ecclesiastiche per la dolorosa debolezza nei confronti di Mussolini. Nel 1940 partì dall’esilio londinese per trasferirsi negli Usa a New York, dove svolse un’attività delicatissima che lo impegnò in modo frenetico per assolvere alle raccomandazioni ricevute da De Gasperi di convincere gli Usa a distinguere fra fascismo e popolo italiano e adoperarsi per un trattato “senza umiliazioni e vessazioni”. Rientrò in Italia dall’esilio il 5 settembre 1946. Morì a Roma l’8 agosto 1959. È una pura eccentricità trascurare la Beatificazione di Sturzo, padre nobile della nostra democrazia.

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