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Assieme a Vittorio Emanuele III viene seppellita la storia. Parla Noemi Di Segni

Noemi Disegni

Avvolta dalla bandiera tricolore di Casa Savoia, la bara del re Vittorio Emanuele III è tornata in Italia su un aereo militare partito da Alessandria d’Egitto, per essere deposta nel santuario di Vicoforte, in Piemonte. Se negli intenti della nipote Maria Gabriella di Savoia e del Quirinale, che ha concesso il rimpatrio della salma, l’operazione doveva svolgersi nella più assoluta discrezione, l’effetto è stato opposto. Non solo per la rumorosità delle polemiche di una parte di casa Savoia, che chiede a gran voce di seppellire l’avo al’interno del Pantheon di Roma, ma anche per l’indignazione delle comunità ebraiche di fronte a quella che appare una riabilitazione di un re che ha firmato le leggi sulla razza nel 1938 e ha supportato il regime di Benito Mussolini fino agli ultimi respiri, prima di calare la scure il 25 luglio del 1943 per poi fuggire a Salerno. Formiche.net ha chiesto un commento a caldo a Noemi Di Segni, presidente delle Comunità ebraiche italiane.

Presidente Di Segni, cosa rimane della figura di Vittorio Emauele III nell’immaginario della comunità ebraica italiana?

Rimane una figura che ha dato autorevolezza, legittimazione e tutti i riconoscimenti possibili al regime fascista e a tutte le sue scelte, a cominciare dalla marcia su Roma. Il retaggio di Vittorio Emanuele III è un tema soprattutto italiano, non solo ebraico. Un uomo che ha apposto la sua firma sui provvedimenti in difesa della razza e ha legittimato la guerra in Italia non può essere considerato semplicemente un re morto. Farlo tornare in Italia vuol dire sorpassare su quello che ha fatto al Paese. È giusto che un Paese superi la guerra, ma non per questo bisogna dimenticare. Un suo ritorno rischia di seppellire insieme a lui la storia intera.

Come si concilia l’importanza della memoria per il popolo ebraico con questa ferita aperta, a distanza di settant’anni, verso un uomo che, nel bene o nel male, ormai appartiene alla storia?

Appartenere alla storia non vuol dire essere dimenticato. Sono passati ottant’anni dalla firma delle leggi razziali, settanta dalla Costituzione repubblicana, eppure non è mai stato fatto un vero bilancio. Vittorio Emanuele III non è stato processato, non si è tenuto conto a sufficienza delle responsabilità, non solo sue, ma di tutti gli esponenti di spicco del regime fascista, così come dell’indifferenza e il silenzio di chi non ha avuto il coraggio di dire nulla. Non è un tema di legittimità formale, ma sostanziale.

Assieme alla memoria di Vittorio Emanuele III, devono essere cancellati fisicamente le centinaia di monumenti del regime fascista sparsi per l’Italia?

Se sono monumenti che onorano i singoli, come quello per Gaetano Azzariti, che prima di presiedere la Corte Costituzionale fu presidente della Commissione sulla razza, senz’altro devono essere eliminati. Il retaggio della “cultura fascista” invece non può essere cancellato, oggi dobbiamo saper attraversare questi monumenti e capirli, rimuoverli potrebbe distogliere l’attenzione. Non contano la statua, l’edificio o l’obelisco, ma la capacità di leggere di chi li guarda. In un’Europa dove si affermano sempre più i radicalismi, come è successo ieri in Austria, ma anche in Ungheria e in Polonia, non possiamo esimerci da una riflessione storica.

Esiste davvero in questo momento un ritorno della simbologia fascista fra i gruppi estremisti?

Esiste e non va sottovalutato. Ma soprattutto andrebbe fatta una riflessione sociologica per capire la matrice di questi movimenti e da dove nascono le forme di odio ispirate all’ideologia fascista di cui riprendono i simboli, le cerimonie e il modus operandi.

È utile in questo senso la legge Fiano?

Si, ma va integrata in un quadro di strumenti più ampio. Bisogna far quadrare l’insieme di leggi, provvedimenti e norme in modo tale che possano essere applicate. D’altra parte se è inutile avere norme che non si applicano, serve anche coerenza nel sistema, dobbiamo colmare i vuoti legislativi: se fino ad oggi non siamo riusciti a vietare la vendita di cimeli ispirati all’ideologia fascista non vuol dire che dobbiamo giustificarla.

Fra le nuove forme di antisemitismo in Italia rientra anche l’odio nei confronti di Israele, un tema tornato caldo con la diatriba su Gerusalemme capitale, oppure sono due questioni separate?

Certamente l’antisemitismo comprende, come il parlamento europeo ha dichiarato con una risoluzione dello scorso giugno, anche la negazione del diritto all’esistenza di Israele. È giusto ricordare che ottant’anni fa la legittimazione delle leggi razziali non è caduta dal cielo, è stato ben preparato il terreno e sono state calate in una realtà che le ha ben accolte, in una cultura sociale intrisa di antisemitismo e di antigiudaismo.



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