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Polizia e intelligence fanno rete contro il terrorismo

Lo scambio di informazioni tra forze di polizia e intelligence è da sempre fondamentale per ottenere i risultati migliori nella lotta al terrorismo. Gli attentati in diversi Paesi europei degli anni scorsi, invece, hanno dimostrato come all’estero spesso ci sia deficit di comunicazione perfino tra strutture della stessa nazione e dunque a maggior ragione con gli alleati. La soluzione è una “rete di reti”, come l’ha definita il prefetto Franco Gabrielli, capo della Polizia, al termine della seconda riunione dell’Ermes, European Relationship for Mediterranean Security, dedicata al terrorismo dopo quella sull’immigrazione tenutasi nel giugno scorso a Lampedusa.

La riunione romana, aperta dal ministro Marco Minniti, aveva al centro proprio il miglioramento dello scambio di informazioni partendo dall’esperienza italiana del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, che dal 2003 (all’indomani della strage di Nassirya) riunisce costantemente i rappresentanti delle forze dell’ordine, della polizia penitenziaria e delle agenzie di intelligence. Portato come esempio soprattutto all’indomani degli attentati degli ultimi anni, il Casa dovrebbe essere imitato negli altri Paesi europei, auspicio che si scontra con gelosie e con organizzazioni statuali diverse. Al vertice hanno partecipato i responsabili delle polizie di Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Slovenia e Spagna. Eppure, ha sottolineato Gabrielli, “la condivisione immediata delle informazioni tra intelligence e forze di polizia è fondamentale in un contesto dove la minaccia terroristica è liquida e imprevedibile”. Il tema quindi è “condividere le informazioni, non averle”, a maggior ragione con la diffusione dei rischi legati al mondo cyber, “un terreno strategico nel quale c’è bisogno di uno scambio tempestivo”.

Nella “rete di reti” evocata da Gabrielli ogni Paese è un “nodo” che deve innanzitutto scambiare informazioni al suo interno per poi condividerle con gli alleati. I tre punti della dichiarazione di intenti diffusa al termine del vertice sono molto chiari: favorire “l’osmosi informativa” tra tutti i soggetti interessati alla lotta al terrorismo perché “il valore dell’informazione non risiede nella proprietà del dato, ma nella sua condivisione”; arrivare a “un’effettiva interazione” tra intelligence e forze dell’ordine; promuovere la condivisione delle informazioni nel dialogo con i Paesi terzi. Osmosi e condivisione, a parole sembra facile. Poi, quando Formiche.net ha chiesto all’Ispettore generale della polizia francese se può garantire d’ora in poi più condivisione tra gli investigatori francesi e, quindi, tra la Francia e gli alleati, Hugues Bricq ha risposto negando “un deficit informativo” all’epoca degli attentati e limitandosi a notare che la Francia è ora costretta ad affrontare una minaccia interna e non più esterna, che il sistema si sta adeguando e che il numero verde per le segnalazioni funziona, pur dovendo filtrare bene le informazioni che arrivano.

Lo sforzo comunque c’è e Gabrielli, con realismo, ha spiegato che “nessuno ha la presunzione di aver risolto i problemi” con questa riunione che è servita a una “ricognizione degli strumenti utili” per rispondere efficacemente alle minacce. L’incontro con la stampa ha permesso anche un accenno ai fenomeni nazifascisti, riemersi in Italia con la sparatoria di Macerata. I rappresentanti francese e portoghese li hanno ridimensionati a casi isolati e sotto controllo nei loro Paesi mentre Gabrielli ha negato l’esistenza di segnali specifici pur ammettendo l’esistenza di “un humus nel quale potrebbero crearsi situazioni concrete di violenza”.

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