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Rex Tillerson ed il “codice del west”. Perché barcolla ma non molla

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Dovevano essere questi i giorni in cui – secondo numerose voci susseguitesi a Washington nell’arco dell’ultimo mese – Rex Tillerson avrebbe comunicato pubblicamente la sua decisione di fare un passo indietro e di dimettersi dall’incarico di Segretario di Stato per le incomprensioni con il presidente Trump e l’incapacità di trovare un momento di sintesi con l’establishment del Dipartimento, cha mai ha gradito la politica dei tagli lineari così come il silenzio sulle numerose caselle in giro per il mondo lasciate ancora vuote.

Ben quarantuno ambasciate senza rappresentanza, tra cui quelle in Corea del Sud, Arabia Saudita e Turchia, e un rapporto assai complesso con l’entourage di Foggy Bottom non giocano certamente a favore di una permanenza del Segretario di Stato nel suo attuale incarico. Ancora, le difficoltà nell’interfacciarsi con la figura – spesso ingombrante – di Jared Kushner, suo alter ego e competitor voluto dal presidente sui temi di politica estera avrebbero complicato ulteriormente la posizione dell’ex Ceo di ExxonMobile, al punto che i bookmaker davano la sua uscita per sicura e già si faceva il nome di Mike Pompeo, attuale direttore della Cia quale suo sostituto, in un movimento di tessere che avrebbe visto l’entrata di Tom Cotton alla direzione di Langley. In questo modo il senatore repubblicano vicinissimo a Trump avrebbe avuto l’opportunità di aprirsi gradualmente la strada verso la leadership in vista di una possibile candidatura alla presidenza.

Su questo quadro di scommesse, previsioni e strategie è arrivata la ferma, granitica, smentita del diretto interessato. In una recente e inusuale intervista concessa a Margaret Brennan della CBS News, Tillerson è stato categorico nell’affermare la sua volontà di portare avanti l’incarico conferitogli dal presidente degli Stati Uniti in nome e per conto dei cittadini americani.

Senza timore di essere smentito, il Segretario di Stato ha denunciato la campagna di delegittimazione nei suoi confronti, riconducibile “agli ambienti ostili di Washington” e alla domanda a bruciapelo della Brennan “chi sono i suoi nemici?” ha risposto in modo laconico con un sorriso provocatorio “non lo so”. Incalzato dalle domande della giornalista sulla sua intenzione di restare al Dipartimento, ha posto la questione in termini strettamente personali, richiamando il cosiddetto “Code of the West” (il codice del west) per sottolineare l’importanza assoluta della parola data e dell’impegno assunto verso il proprio Paese.

“Sono io a decidere se restare o meno. Lo so io e nessun’altro”: in questo modo il Segretario ha bollato le ricostruzioni che vedrebbero dei meri calcoli economici relativi alla maturazione di bonus per il suo precedente lavoro alla Exxon come base per le sue prossime (e ormai apparentemente lontane) dimissioni. Pur non nascondendo un certo imbarazzo per la relazione complicata con Trump, Tillerson si è detto più che pronto ad applicare le policy della Casa Bianca, e persino a seguirle se prontamente avvertito “prima dei tweet del presidente”. Quando gli è stato chiesto se avesse mai pronunciato l’aggettivo offensivo “moron” (idiota) nei confronti di Trump, l’uomo ha glissato – ripetutamente – bollando l’episodio come acqua passata, senza confermare o smentire.

L’intervista è apparsa come una chiara dimostrazione di forza, nel tipico e inconfondibile stile texano da cui deriva la ripetuta espressione “code of the west”. Quasi a voler far trasparire la sua testardaggine e ostinazione, il Segretario di Stato ha mandato un chiaro avvertimento ai “nemici di Washingon”. Si apre così una partita che potrebbe ulteriormente agitare le turbolente acque in cui nuota la presidenza Trump, in queste ore scossa dalle notizie di stampa su una paventata uscita di H.R. McMaster dal ruolo di National Security Advisor e dai dissidi tra il capo dell’organizzazione, John Kelly, con il genero del presidente, Kushner, per ragioni legate all’accesso di quest’ultimo a materiali classificati senza le dovute abilitazioni di sicurezza.

Si apre, quindi, un ulteriore momento di frammentazione mentre si avvicinano le elezioni di medio termine . Nel partito repubblicano in molti aspettano la resa dei conti per organizzare un nuovo blocco contrapposto a Trump. Tra quelli che attendono c’è Mitt Romney, che si prepara a tornare a Washington.


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