Cambridge Analytica, è questo il nome della compagnia statunitense al centro di un nuovo scandalo che punta diritto alla Casa Bianca e che riaccende l’attenzione – mai sopita dalle parti di Washington – sul tema delle interferenze in campagna elettorale e del condizionamento del voto attraverso l’utilizzo dei social network. Questa volta, però, al banco degli imputati non siedono i russi o le famose troll factory vicine al Cremlino. La partita, infatti, è tutta interna agli Stati Uniti ed è giocata proprio sull’asse che va da New York a Washington.
Con l’accusa di aver sottratto informazioni da migliaia di profili di cittadini americani sui social network (ed in particolare su Facebook), Alexander Nix, ceo di Cambridge Analytica, dovrà spiegare come e perché abbia posto in essere quello che sembrerebbe a tutti gli effetti un complicato sistema di raccolta informativa sulle tendenze elettorali degli americani negli anni direttamente precedenti alle presidenziali del 2016.
Come dichiarato al New York Times da Christopher Wylie – un ex dipendente della società – Cambridge Analytica era stata progettata per diventare un “arsenale militare” da utilizzare nella “guerra culturale” e informativa che si gioca nel corso di ogni elezione. Obiettivo: capire le tendenze e anticipare i temi da cavalcare in campagna elettorale attraverso lo studio delle preferenze di un bacino assai ampio di americani. I numeri sono ancora avvolti dal mistero ma si aggirerebbero intorno alle decine di milioni di utenti attivi sui social network.
Il sistema era semplice e complesso al tempo stesso: attraverso una sorta di cavallo di Troia, una società denominata Global Science Research e riconducibile al giovane matematico Aleksandr Kogan, si propinava agli utenti target una app di raccolta informativa rivolta a profilarne le tendenze politiche, dissimulando una finalità ludica e celando il doppio fine del sistema stesso. Chi interagiva con la app era convinto di rispondere ad un sondaggio creato per il solo scopo di divertire ma in realtà dava indirettamente accesso ad una miniera di informazioni utili a definire tendenze, gusti, idee, aspirazioni e anche giudizi politici. Opportunamente utilizzate, tute quelle informazioni potevano diventare un autentico tesoro.
Delle potenzialità di questo tesoro si sarà accorto Robert Mercer, miliardario americano ed esperto di informatica, che nel 2013 decise di investire ben 15 milioni di dollari in Cambridge Analytica, società fino a quel momento sconosciuta e dal fatturato praticamente insignificante. Una mossa che in molti avrebbero giudicato strana.
Mercer non è solo un uomo d’affari o un esperto del settore con il fiuto sugli investimenti più redditizi. È, tra l’altro, conoscente di amico di Steve Bannon, che all’epoca dell’affare si trovava nel pieno dell’organizzazione della campagna elettorale per la presidenza di Donald Trump. Ecco il momento preciso in cui, connessi i punti, emerge il dato più serio e preoccupante della vicenda.
Secondo le ricostruzioni in corso, sarebbe stato lo stesso Nix a spiegare agli uomini di Trump le potenzialità del progetto: in quel momento la campagna non era ai suoi massimi. Anzi, sarebbe stato necessario rivedere le strategie di Trump ed il modo di veicolarle. Quale modo migliore se non quello di capire le tendenze e persino anticiparle?
A quanto è dato sapere, l’idea piacque davvero tanto sia a Mercer sia a Bannon. I fatti degli anni successivi e le tante accuse di interferenze e condizionamenti piovute sull’organizzazione elettorale fanno il resto.
Come se non bastasse, emergono in queste ore le connessioni ed i network internazionali costruiti da Cambridge Analytica nel corso del tempo. Sia Nix che gli altri membri del team di CA sono conosciuti in Italia ed è facile ritrovare sul web tracce del loro passaggio a Milano e non solo. Anche il business della compagnia passerebbe dall’Italia. Non si può dunque escludere che un sistema simile – se non lo stesso – sia stato utilizzato per le competizioni elettorali da partiti italiani. Lo scandalo sembra, quindi, destinato a crescere e nuovi colpi di scena potrebbero accomunare Italia e Stati Uniti, legati insieme dal filo rosso di una compagnia fino a poche ore fa sconosciuta, il cui nome rischia di rimanere nella storia.