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Il caso Skripal e l’assenza di una politica estera italiana. Parla Nathalie Tocci (Iai)

Paolo Gentiloni

L’Italia si accoda alle proteste di Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Germania contro la Russia, accusata di essere dietro al caso Skripal, l’ex colonnello russo del Gru dissidente ritrovato accasciato su una panchina a Salisbury assieme alla figlia, entrambi avvelenati e in fin di vita. L’Italia si accoda, per l’appunto, cioè arriva per ultima con le parole del ministro degli Esteri Angelino Alfano, tagliata fuori dal comunicato congiunto di Washington, Parigi e Berlino. La tardività dell’intervento italiano non può non destare preoccupazioni sulla credibilità della politica estera italiana in Europa e nel mondo, e sul suo futuro, mentre Roma è presa dalle imminenti consultazioni post-elettorali che si apriranno al Quirinale. Come riconquistare lo spazio che ci compete all’estero prima che sia troppo tardi? Ne abbiamo discusso con Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto degli Affari Internazionali (Iai).

Direttrice, cosa dimostra la tardiva condanna italiana del Cremlino per il caso Skripal?

Che l’Italia va incontro a una graduale perdita di credibilità nello scenario internazionale. Ci sono due aspetti di questa non risposta italiana. Il primo: perché non veniamo chiamati in causa? Perché l’Italia è vista come un Paese eccessivamente filo-russo, e non sufficientemente vicino alle preoccupazioni dello Stato colpito: ieri erano i Baltici, oggi il Regno Unito. Non siamo ritenuti un attore credibile quando si parla di Russia. C’è poi un aspetto di politica interna italiana.

Cioè?

Ero poco fa a una riunione a Berlino e posso assicurare che c’è grande preoccupazione per l’Italia, non tanto per l’incapacità di stabilizzare il consenso interno, quanto perché c’è il timore di essere trascinati nello spillover negativo della politica italiana, che è visto come una minaccia alla stabilità dell’Eurozona. Se non cambieremo rotta saremo sempre più tagliati fuori dai giochi, che sia un comunicato congiunto contro Mosca o la riforma dell’Eurozona cambia poco.

Dunque a rischio c’è anche la nostra credibilità in Europa, all’alba di una stagione di importanti riforme.

Soprattutto in Europa, dove non abbiamo una voce autorevole. Il Regno Unito non solo è una grande potenza, ma è convinto di esserlo, e ha ammantato di questa retorica il referendum per la Brexit. Eppure sul caso Skripal è stata proprio Londra a cercare per prima un consenso europeo, una reazione di concerto con gli alleati per rispondere a un’altra grande potenza, perché si rende conto che da sola non può reggere il confronto.

Anche la politica atlantica italiana sembra talvolta più dettata da inerzia e ragioni storiche che da una consapevole scelta di campo.

Assolutamente. Nella nostra campagna elettorale non si è parlato per niente di politica estera, in nessun partito. Siamo sempre più arrovellati nelle nostre dinamiche interne, e sempre meno consapevoli di quanto conta una politica estera ed europea degna di questo nome.

Sorprende in effetti il silenzio dei partiti che più si sono esposti in campagna elettorale per supportare la Russia.

Non sorpende, perché sono partiti e movimenti politici che non hanno un’agenda articolata in politica estera. Il risultato è che non siamo sul pezzo, quando si aprono crisi come quella fra Russia e Regno Unito non abbiamo idee o posizioni. È legittimo sostenere una posizione più aperta nei confronti di Mosca, ma bisogna porsi una domanda su come cercare consenso e costruire coalizioni in ambito europeo e atlantico per portare avanti questa linea di politica estera. Non si parla di essere pro o anti-Russia, ma di una totale assenza di credibilità. La reazione al caso Skripal è in ritardo e confusa, niente di più che una rincorsa dei nostri alleati.

Un eventuale governo di scopo concentrato su una nuova legge elettorale sarà all’altezza degli appuntamenti europei e internazionali?

Io personalmente sono estremamente scettica su un governo di questo tipo. In questo quadro politico, paradossalmente, ci può salvare solo una legge elettorale che non porta a uno scenario netto. Un sistema maggioritario che porta forze estremiste al governo senza contrappesi rischia di essere più destabilizzante per la nostra politica estera.

Perché è importante riprendere autorevolezza in politica estera in questa stagione europea?

Perché ci affacciamo a una stagione di rilancio del progetto europeo. Concluso l’accordo per il governo tedesco, ripartirà il motore Berlino-Parigi e con questo le riforme dell’Eurozona, per il sistema di Dublino sull’immigrazione bisognerà probabilmente aspettare le elezioni europee del 2019.

Cosa preoccupa di più gli Stati membri dell’attuale situazione politica italiana?

La nostra instabilità interna, che, parallelamente a quella dei Paesi che più hanno sofferto la crisi economica e le politiche di austerity, rischia di impantanare la riforma dell’Eurozona. Al momento però l’incertezza che grava su Roma è vista come il pericolo numero uno. In Europa si dibatte su come proteggersi e isolarsi da una spirale di dinamiche negative italiane. Il dialogo sulle riforme è già partito, e un governo di scopo non riuscirà facilmente a difendere gli interessi italiani.

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