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Aldo Moro e il ritratto di Damilano che va oltre i giorni della prigionia

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“Datemi da una parte milioni di voti e toglietemi dall’altra un atomo di verità e io sarò comunque perdente”

È da questa frase di Aldo Moro che trae ispirazione “Un atomo di verità” una serata al Teatro Argentina di Roma che ha visto come protagonista il direttore de L’Espresso Marco Damilano, in libreria con il libro omonimo (edizioni Feltrinelli). La prossimità del teatro a via Caetani, luogo in cui fu ritrovato il corpo dell’onorevole Moro, fa anch’essa parte della poetica dello spettacolo.

Presenti in sala moltissimi volti noti del mondo della politica e della cultura: il ministro della Difesa Roberta Pinotti, l’ex ministro per la Cooperazione Internazionale Andrea Riccardi, il vicesindaco della Capitale Luca Bergamo, il Direttore artistico del Globe Theatre Gigi Proietti, l’attore Ascanio Celestini e, tra gli altri, le giornaliste Franca Leosini, Francesca Schianchi e Gaia Tortora.

DAMILANO: ”BISOGNA STRAPPARE LA FIGURA DI MORO ALL’IMMAGINE DEL PRIGIONIERO DELLE BR”

Nell’anno del quarantennale del rapimento e della morte di Aldo Moro, Marco Damilano, nel suo one man show, ha ripercorso le tappe del “caso Moro” alternando uno sguardo intimo e uno pubblico per delineare un quadro quanto più aderente possibile alla figura dello statista pugliese.
“Credo che per uscire dalla celebrazione sterile del quarantennale della morte di Aldo Moro sia indispensabile restituire a ogni personaggio del passato la sua vita e la sua dignità, con tutti i tratti della personalità anche quelli negativi o contraddittori per strapparlo dalla dimensione della mera ricorrenza” – dice a Formiche.net Marco Damilano – “Nel caso di Aldo Moro occorre strapparlo all’immagine del prigioniero dei 55 giorni”.

Ad aprire la rievocazione teatrale l’audio del Gr2 con l’annuncio del rapimento dell’ex Presidente del Consiglio e della morte dei cinque agenti della sua scorta. Quella che viene presentata è la fotografia in movimento di un Aldo Moro fuori dai soliti stilemi. Sulla scena una grande scrivania in legno sulla quale sono poggiati i faldoni dei tanti documenti presenti nel vastissimo archivio Flamigni, nel quale sono conservate anche le lettere e le fotocopie del memoriale di Moro. L’originale non fu mai rinvenuto. Sullo schermo alle spalle di Damilano vengono proiettate foto della vita del Presidente della Democrazia Cristiana a testimonianza dei suoi successi in campo politico, professionale, come docente della “Sapienza”, e della sua vita privata.

DAMILANO: ”PER FARE LUCE SUL CASO MORO NON SERVONO COMMISSIONI PARLAMENTARI”

A quarant’anni da quel 9 maggio 1978, la “notte della Repubblica”, la verità giudiziaria sul “caso Moro” è ancora ambigua e parziale. “La verità è ancora in mano a una “banda di assassini”, come li chiamava Luciano Lama, che continuano a dire di avere chiarito tutto e non hanno chiarito niente” – declama Damilano dal palco – “ancora non è stato possibile capire perché lo Stato non è riuscito a salvare il suo rappresentante più significativo da una banda di terroristi incolti e mal preparati”.

La Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla morte di Aldo Moro ha chiuso i suoi lavori con la fine dell’ultima legislatura. La relazione della Commissione ha tracciato un quadro molto complesso degli attori che hanno collaborato al sequestro dello statista democristiano e che vede la partecipazione delle Brigate Rosse come attore comprimario e non esclusivo. È stata accertata, infatti, la presenza in via Fani di uomini dei servizi segreti deviati dello Stato, uomini della mafia romana (Banda della Magliana), ‘Ndrangheta, uomini dei servizi segreti stranieri, Cia e Kgb, che avevano interesse per lo meno a creare caos in Italia.

“A questo punto non credo che la verità si cerchi con le Commissioni Parlamentari o le inchieste giudiziarie” – aggiunge Damilano – “Credo che la verità sia una ricerca di memoria che vuol dire anche uscire da una logica giudiziaria per cui si cercano le prove, gli indizi e i dettagli sugli esecutori materiali e i mandanti. Si dovrebbe provare a costruire, invece, un discorso culturale, un percorso politico attorno alla figura di Aldo Moro. Noi abbiamo l’esigenza di ricercare la verità come memoria e come esigenza di giustizia”.

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