L’ordinaria amministrazione di un governo ormai scaduto non esiste nel caso del ministro dell’Interno che, in qualunque epoca, ha sempre gatte da pelare. Così Marco Minniti alterna missioni in Libia o in Niger con ordinarie questioni di ordine pubblico e con interventi nei quali riassume lo stato dell’arte sull’immigrazione. L’ha fatto domenica 6 maggio al convegno di Limes a Genova, l’ha ripetuto il 7 maggio alla Sioi (Società italiana per l’organizzazione internazionale) a Roma: nell’ultimo anno “l’Italia ha dimostrato di sapersi muovere come sistema Paese” ha detto Minniti.
I rapporti tra Europa e Africa, gli investimenti che mancano, la gestione dell’accoglienza, il crollo degli arrivi. Da questo calderone Franco Frattini, presidente della Sioi, ha tratto alcuni dati significativi: l’attività svolta dall’Italia in Libia ha fatto crollare nell’ultimo anno i morti in mare da 4.150 a 1.258, così come dal 1° luglio 2017 al 30 aprile scorso sono arrivate 104mila persone in meno rispetto allo stesso periodo precedente. Purtroppo l’Unione europea è molto avara e stanzia solo il 4 per cento di quanto spende l’Italia. Frattini è scettico sulla possibilità che in futuro si stanzino le cifre necessarie ad aiutare quei Paesi africani: “Le migrazioni si riducono quando il reddito medio pro capite arriva a 5mila dollari l’anno, mentre oggi in Paesi come Libia o Niger non arriva a 3.500 dollari. Servirebbero risorse talmente grandi che sarebbe meglio orientarsi verso interventi mirati”, ha detto Frattini che, dopo le esperienze di ministro dell’Interno e degli Esteri e di commissario europeo, oggi ha un altro osservatorio privilegiato come presidente di sezione del Consiglio di Stato dove, in tema di immigrazione, riscontra delle criticità sui tempi medi delle procedure di prima istanza.
Su questo Minniti ha ammesso che l’obiettivo finale resta quello di valutare una richiesta in 6 mesi rispetto alla media di due anni alla vigilia del decreto che porta il suo nome: per questo sono state potenziate le commissioni prefettizie, stanno entrando in servizio i 250 funzionari neo-assunti ed è stato abolito un grado di giudizio. Solo nei prossimi mesi si potrà valutare l’effetto concreto delle novità. Anche nell’intervento alla Sioi, comunque, la preoccupazione del ministro dell’Interno è stata quella di spiegare che l’immigrazione è un fenomeno strutturale e non emergenziale e che “nessuno al mondo può fermare i flussi migratori”. In Africa, ha ricordato, si gioca una partita fondamentale per la sicurezza, lì c’è una crescita demografica imponente (nel 2050 la popolazione raddoppierà toccando i 2 miliardi) mentre in Europa è prossima allo zero, ed è un continente ricchissimo di materie prime, salvo che i governanti ne approfittano per interessi personali.
“L’Europa che investe in Africa non fa carità, aiuta se stessa”, ha aggiunto il ministro, ma nel frattempo all’Africa destina qualche centinaio di milioni di euro a fronte dei 6 miliardi (di cui 3 previsti entro quest’anno) alla Turchia per fermare il flusso attraverso i Balcani. Minniti lascia in eredità al nuovo governo, soprattutto a quello successivo alle imminenti elezioni, alcuni punti fermi: 50 milioni stanziati dalla Commissione europea a favore dei sindaci libici con cui l’Italia ha stretto un accordo, 30 milioni dai paesi del Patto di Visegrad (“ai quali viene l’orticaria quando sentono parlare di Africa”) per contribuire al controllo delle frontiere del Sahel e soprattutto l’aver consentito all’Onu e ad alcune Ong italiane di poter lavorare in Libia. Unhcr e Oim stanno preparando un centro a Tripoli a favore delle persone più fragili: ne hanno già individuate 1.500 di cui 350 arrivate in Italia con un corridoio umanitario. Inoltre, l’Oim ha riportato a casa circa 25mila immigrati con i rimpatri volontari assistiti che prevedono un budget per aiutarli ad avviare un’attività e le Ong italiane a Tripoli entrano tre volte alla settimana nei centri dove sono ammassati gli immigrati. La situazione è molto difficile, ha detto Minniti, ma nella sua recente visita nella capitale libica le Ong gli hanno riferito di primi miglioramenti.
Il prossimo governo dovrà combattere a Bruxelles anche sui progetti di riforma del trattato di Dublino, che oggi obbliga il Paese di prima accoglienza (Italia e Grecia) a ricevere la richiesta di asilo. “Quel trattato era ingiusto – si è accalorato Minniti -, si sta discutendo per renderlo ancora più ingiusto e negativo per l’Italia”. La grande incognita del futuro riguarda i rapporti con la Libia, cioè se saranno confermati o meno gli accordi con quei sindaci e con le tribù dei “guardiani del deserto” Suleyman, Tebu e Tuareg, e le modalità tecniche di accoglienza, cioè se mantenere i grandi centri di accoglienza o no. La possibilità di rimpatriare un maggior numero di immigrati irregolari si scontrerà con la riottosità dei Paesi di provenienza: il problema resta sempre quello.