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Sull’Ilva c’è poco spazio per altri balletti. Di Maio e Grillo non se lo dimentichino

La politica gialloverde rischia di arrivare decisamente tardi sull’Ilva. Non sarebbe la prima volta, per carità, ma stavolta ci sono precise scadenze da rispettare. Non è dunque il caso di perdere troppo tempo in battibecchi sul web o incursioni tv. Proprio una decina di giorni fa Formiche.net aveva dato conto (qui l’articolo) della gravità della situazione sul fronte pugliese, sul quale la politica penta-leghista non sembra, per il momento, in grado di dare una risposta.

Ci sono due variabili di cui bisogna per forza di cose tenere conto. Primo, dal prossimo 30 giugno Arcelor Mittal, nuovo proprietario dell’acciaieria più grande d’Europa, avrà mani libere nell’attuazione del piano industriale che prevede, tra le altre cose, l’assunzione pro-tempore di 10mila lavoratori, per poi tagliarne 1.500 a risanamento completato. Il fatto è che manca ancora l’accordo coi sindacati, che finora hanno nella sostanza hanno respinto la proposta. E questo per l’Ilva e i suoi dipendenti è un problema perché tra venti giorni il gruppo franco-indiano potrà avere mani libere nella gestione della vertenza.

Punto secondo, l’Ilva ha poca liquidità e tra un mese, un mese e mezzo al massimo, ci potrebbero essere seri problemi di cassa. Difficile pensare che Arcelor predisponga robuste iniezioni di capitale senza prima avere la certezza di poter lavorare con l’appoggio del governo e la sponda dei sindacati. Sì, perché proprio all’esecutivo adesso passa la palla. Che cosa vuole farne Luigi Di Maio dell’Ilva? Sarebbe bene dare comunicazioni certe sul destino di Taranto entro e non oltre fine mese, in tempo per registrare la reazione di Mittal.

Anche qui, per il momento, c’è grande confusione. Ieri in un post Beppe Grillo ha paragonato l’area industriale tarantina alla Ruhr tedesca, auspicando una riconversione dello stabilimento.  “Si parla di chiudere l’Ilva ma nessuno lo ha mai pensato: il bacino del Ruhr è un esempio da emulare. 4.432 kmq di superficie, oltre 6 milioni di abitanti, 142 miniere di carbone, 31 porti industriali fluviali; 1.400 km di autostrade e tangenziali. Nel 1989 alcuni comuni si consorziarono per dar vita a un’importante operazione di risanamento del territorio e negli anni si è trasformata nella più colossale riconversione industriale del mondo. L’esempio più rilevante consiste nel Parco Paesistico di 320 kmq, distribuito lungo gli 800 kmq del territorio fluviale dell’Emscher”, ha scritto Grillo. Dunque un parco.

Peccato che il capo politico del Movimento 5 Stelle, ma soprattutto il ministro dello Sviluppo, Di Maio, abbia preso una certa distanza dall’idea di Grillo. Il che nei fatti alimenta il caos. “Grillo, o chiunque altro, esprime delle opinioni personali: su tutti i dossier io non prenderò decisioni finché non avrò ascoltato le parti”. Sul sito industriale in Puglia, “verranno ascoltati la proprietà, i sindacati, il sindaco di Taranto”. Tradotto, nuovo giro di incontri e giorni che volano via.

Una perdita di tempo che inizia già a innervosire il mondo industriale italiano, preoccupato di dover rinunciare a un pezzo di Pil e soprattutto all’autonomia nella produzione dell’acciaio (chiudere l’Ilva potrebbe costringere l’Italia a ricorrere a massicce importazioni, con aumento dei costi). Intervenendo a Rapallo per il consueto convegno dei giovani imprenditori, il presidente Alessio Rossi ha attaccato: “Non si scherza con l’Ilva, non si scherza con 20mila posti di lavoro, non si scherza con l’1% del Pil. Con una azienda che ha cassa ancora per un mese. Tutto questo è insostenibile”. L’orologio fa tic tac e il tempo stringe.

 


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