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Matteo Salvini a Tripoli. La prof. Mercuri spiega come cambia la relazione Italia-Libia

libia

Matteo Salvini stamattina è volato in Libia, portando con sé il fardello di una situazione – quella dei flussi migratori – che va assumendo sempre più, a livello europeo, toni incandescenti e imprevedibili. Al suo omologo libico, Salvini, ha consegnato il messaggio di solidarietà e collaborazione. Sono, dunque, cooperazione, creazione di campi di accoglienza al sud della Libia e un vertice internazionale a settembre, i temi fondamentali affrontati in conferenza stampa. Insomma, il segnale che traspare dall’incontro di oggi è che i due Paesi, l’Italia e la Libia, non siano lasciati soli ma che, insieme, e con il supporto della comunità internazionale, si lavori concretamente per gestire i flussi migratori. Anche se per quanto riguarda la proposta dell’istituzione dei campi sul territorio libico, il vice presidente Ahmed Miitig, in un’intervista a Repubblica, è rimasto fermo sull’impossibilità della realizzazione.

“Le capitali europee devono essere unite e partecipi nel predisporre, non solo un piano comune per far fronte al tema migranti ma anche e soprattutto per stabilizzare la Libia. È necessario evitare, per questo, iniziative unilaterali come quella francese dello scorso 29 maggio e riportare la questione nelle sedi preposte. Mi riferisco, naturalmente, alle Nazioni Unite”, così ha riferito in una conversazione con Formiche.net Michela Mercuri, docente di paesi mediterranei all’Università di Macerata e autrice del recente libro “Incognita Libia. Cronache di un paese sospeso” (FrancoAngeli).

Salvini stamattina è volato in Libia. Che effetto può avere questa visita a livello europeo?

Questa visita vuole rappresentare una sorta di “ponte” tra il “mini vertice europeo” sui migranti di ieri e il consiglio europeo del 28 e 29 giugno che, sicuramente, vedrà il dibattito più acceso proprio sul tema dell’immigrazione. Dopo le divergenze emerse tra i vari leader europei durante l’incontro di Bruxelles e prima di ridiscutere la proposta avanzata dal premier Conte, Salvini si è voluto assicurare l’appoggio delle autorità libiche su uno dei temi più spinosi dell’agenda libica proposta da Conte: hot spot a sud del Paese. Al momento sembra mancare il consenso delle autorità libiche su questo punto. In ogni caso la visita di Salvini e la sua iniziativa “unilaterale” non può che infastidire alcuni paesi europei, in primis la Francia che da tempo si era eretta a “portavoce europeo” della stabilizzazione della Libia.

Qual è il messaggio che il nostro ministro dell’Interno vuole dare all’Unione europea attraverso questa missione?

Rafforzare la posizione dell’Italia nell’agenda libica e dunque anche sul tema migranti. D’altra parte era necessario per il nuovo governo ribadire il sostegno a Tripoli. L’ex ministro dell’interno Marco Minniti si era recato più volte in visita a vari leader locali e aveva stretto rapporti con alcuni gruppi importanti nel paese. Mantenere questi contatti e rinnovare la fiducia al governo ufficialmente riconosciuto dall’Onu è (potremmo dire) un passo obbligato per il nuovo governo. Un passo che doveva necessariamente essere fatto ora, proprio in vista del ruolo che l’Italia chiede alla Libia di ricoprire nella questione migranti.

Salvini annuncia conferenza su immigrazione a Tripoli a settembre, affermando che i problemi vanno risolti sul posto e non nelle varie capitali europee. Può giovare all’Italia o almeno ad un iniziale risoluzione della problematica, una conferenza in Libia?

Una conferenza in Libia è un atto simbolicamente importante per ribadire la centralità del paese nella gestione dei flussi migratori. Detto questo, però, dobbiamo ricordare che la Libia è un paese ancora diviso che in questo momento non è la soluzione al problema bensì una parte del problema. Per questo motivo “le capitali europee” devono essere unite e partecipi nel predisporre, non solo un piano comune per far fronte al tema migranti ma anche e soprattutto per stabilizzare la Libia. È necessario evitare, per questo, iniziative unilaterali come quella francese dello scorso 29 maggio e riportare la questione nelle sedi preposte. Mi riferisco, naturalmente, alle Nazioni Unite.

Francia propone hotspot, Italia campi di accoglienza direttamente al sud della Libia per evitare che il nostro Paese diventi un imbuto. Ma dalla Libia arriva lo stop sia su hotspot che su campi per migranti, definiti impraticabili perché vanno contro le leggi libiche. Cosa ne pensa? Quale potrebbe essere una soluzione alternativa?

Difficile dirlo, pensare ad hot spot negli altri paesi di transito – e dunque non in Libia- è una ipotesi paventata da molti ma questo pone dei problemi. Chi gestirà questi hot spot? L’Ue? Chi ci garantisce che i paesi come ad esempio il Niger rispettino gli accordi e permettano alle organizzazioni internazionali di gestire queste strutture nel loro territorio? Se si a che prezzo? E se le autorità di Tripoli alla fine dovesse acconsentire alla creazione di hot spot nel sud del paese, in termini pratici sarà davvero fattibile realizzare tali strutture in zone- come il Fezzan libico- in mano a gruppi criminali che le autorità di Tripoli non controllano? Sarebbe forse più utile invertire la prospettiva prima la lotta ai trafficanti che controllano alcune zone dei paesi di transito e poi creare hot spot.

Salvini ha affermato la necessità di proteggere le frontiere a sud della Libia. Come potrà avvenire effettivamente questo?

Solo attuando politiche comuni di lotta ai trafficanti. Il Fezzan libico e il suo confine con il Niger sono zone franche per la criminalità organizzata. Finchè non si avrà il coraggio di mettere in campo azioni condivise per neutralizzare i network criminali sempre più strutturati in queste zone, non si potranno proteggere le frontiere a sud della Libia, né quelle dei paesi vicini

Italia è stata definita dal vicepremier libico il primo partner della Libia. Quanto giova questa posizione privilegiata al nostro Paese?

È indispensabile. La Libia è nostro interesse nazionale prioritario da un punto di vista di sicurezza ma anche economico. Nel 2011 abbiamo pagato per condurre una guerra contro i nostri interessi ma negli ultimi anni abbiamo lavorato per mantenere e difendere la nostra posizione in Libia, dialogando con gli attori locali, riaprendo l’ambasciata a Tripoli e il consolato a Bengasi. Un lavoro che deve proseguire e, magari, essere ulteriormente implementato.

Intanto non si placano le polemiche sul comportamento del governo italiano e stamattina sono arrivate le dichiarazioni del premier spagnolo Sanchez che ha usato parole dure, affermando che Roma sta portando avanti un discorso antieuropeo. Esiste una strada percorribile attualmente per non destare ulteriore polemica in Europa?

I toni sono purtroppo molto “alti”. Tuttavia credo che, al di là dei toni poco piacevoli usati da più parti nei confronti dell’Italia in questi ultimi giorni, Conte abbia portato all’attenzione delle istituzioni europee un piano concreto e strutturato da cui si potrebbe partire per aprire una discussione che veda davvero quel cambio di prospettiva che fin qui non c’è stato. Mi riferisco soprattutto al Trattato di Dublino. Alcuni leader europei (Francia e Germania in testa) , più o meno palesemente, hanno promesso più volte di rivederne le norme per alleggerire l’Italia dal peso dell’arrivo dei molti migranti sulle sue coste ma poi hanno fatto “spallucce”. Forse questa presa di posizione più muscolare dell’Italia potrebbe essere la spinta definitiva per una sua revisione.

Quale potrà essere l’evoluzione futura di questa situazione secondo lei? Quale potrebbe essere la mossa successiva di Bruxelles?

Mi auguro, anche in base a quanto ho detto sopra, che l’Europa non continui a fare fronte comune contro l’Italia ma sappia attuare una politica condivisa. Certo, non credo che tutte le proposte italiane verranno accettate, tra l’altro alcune sono di difficile attuazione, ma l’auspicio è che l’Europa apra finalmente a una vera redistribuzione dei migranti e a soluzioni condivise.


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