Un pasticcio. Un gran brutto pasticcio. L’Ilva di Taranto ripiomba improvvisamente in una mattinata di luglio nell’oscurità, senza certezze sul proprio futuro. E per uno che l’acciaieria pugliese la conosce fin troppo bene, l’ex ministro dell’Ambiente (governo Monti) Corrado Clini (nella foto, qui una sua intervista a Formiche.net) il fatto che la procedura per l’assegnazione dello stabilimento traballi come non mai è una gran brutta notizia. Peccato che fosse tutto molto prevedibile.
Piccola cronistoria. Ieri l’Anac, l’autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, ha diffuso un elenco di criticità nella procedura di gara avviata a giugno 2017 e sfociata nell’assegnazione dell’acciaieria ad Arcelor Mittal. Tra i punti oscuri, il termine ultimo per l’ attuazione del piano ambientale, spostato dal 2017 al 2023 e quindi il numero di concorrenti ammessi. Ma anche il mancato rispetto di alcune scadenze intermedie da parte del vincitore e notevoli insufficienze sulla chiarezza della disciplina dei rilanci. Attenzione, l’Anticorruzione non ha bloccato la gara, né affermato apertis verbis che la procedura è invalida. Ma ce ne è abbastanza per scoppiare il caso politico, che infatti è scoppiato.
Questa mattina, riferendo alla Camera, il ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, ha parlato di “pasticcio”, con le regole “del gioco cambiate in corsa: se la procedura fosse stata corretta ci sarebbero state molte più offerte e tutte migliori anche quella di Arcelor”. Il ministro e vicepremier ha, nell’ammettere che il “tempo a disposizione è poco”, deciso di avviare un’indagine interna al Mise per capire se ci sono gli spazi di manovra per bloccare la cessione. Il capo del 5 Stelle non ha chiarito le sue intenzioni, cioè se alzare bandiera bianca e indire una nuova gara (Di Maio si è chiesto per esempio perché non sia stata presa in considerazione l’offerta di Acciaitalia, la cordata con Jindal e Cassa Depositi e Prestiti) ma il messaggio politico è chiaro: un intervento del governo, al grido di “legalità prima di di tutto”, ha chiarito lo stesso Di Maio, ci sarà.
Clini fa un’analisi lucida sul rompicapo dell’Ilva. “Come era ampiamente prevedibile, la decisione di aver fatto slittare i tempi per il risanamento, al 2023, ha scombussolato tutto. Perché il senso della legge votata nel 2012 (fortemente voluta da Clini, ndr) era chiaro: l’urgenza. E allora mi chiedo, com’è possibile che l’urgenza data al risanamento ambientale non sia diventata improvvisamente più urgente? Potevamo aspettarci tutto questo, perché il ritardo ha indubbiamente creato dei problemi con le norme Ue, non sfuggite all’Anac”.
L’ex ministro sottolinea anche un altro aspetto, di cui non si è tenuto conto a dovere. “Mi è sembrato piuttosto singolare che fosse assegnata l’Ilva a un gruppo, Arcelor, che già in Europa superava la soglia del 40% di produttività, il limite imposto dalle autorità Antitrust. Allora forse prima di procedere bisognava dire ad Arcelor di fare dei disinvestimenti e delle dismissioni per tornare sotto la soglia comunitaria e dunque acquisire Taranto. Mi sarei insomma aspettato una verifica preliminare da parte delle autorità, prima di procedere”.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi che cosa farà lo Stato. Le strade sono essenzialmente due. O si fa una nuova gara oppure il governo interviene con un decreto e congela tutte le procedure, accollandosi momentaneamente l’Ilva. “La cosa che veramente conta è capire che si vuole fare con Taranto, parlo delle attività. E cioè, si vuole mantenere le attività a caldo oppure dismetterle? Qualunque soggetto coinvolto, a partire da Mittal, dovrebbe fornire un piano industriale che dica apertamente se vuole chiudere o meno tali attività. Punto. Poi si decide. Voglio però sottolineare un aspetto. Un aiuto all’Ilva, al risanamento dello stabilimento, potrebbe arrivare anche dal Tap. Il terminale arriva non lontano, dirottare un poco del gas su Taranto darebbe un grande aiuto”.