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La Russia, l’Africa e quel piano per un partito populista europeo. La versione di Matteo Salvini al Washington Post

salvini, Mancino, magatti

L’annessione russa della Crimea? Avvenuta nel pieno rispetto del diritto internazionale, “perché c’è stato un referendum e il 90% delle persone ha votato a favore del ritorno della Crimea nella Federazione Russa”. Le proteste di piazza Maidan in Ucraina? “Una pseudo-rivoluzione finanziata dalle potenze straniere – come con le primavere arabe”. Non è un’arringa del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, né l’ennesima difesa d’ufficio dell’agenzia di Stato Tass o dei giornali filogovernativi Russia Today e Sputnik. A parlare in un’intervista con il Washington Post è il ministro degli Interni italiano Matteo Salvini, che ha così costretto il giornale a raddrizzare il tiro inserendo una nota dell’editore: “Fact-checkers indipendenti non hanno trovato prove per queste accuse”.

Di ritorno dalla sua missione calcistico-sportiva a Mosca, il segretario della Lega ha ricevuto nel suo ufficio al Viminale la cronista del quotidiano americano. Al centro del botta e risposta il summit fra Trump e Putin ad Helsinki. Che Salvini considera un successo: “un segno molto positivo, un riavvicinamento fra Stati Uniti e Russia è una buona notizia per l’Italia e l’Europa” . Il ministro ha glissato sull’accordo per uno scambio informativo che lega il suo partito al partito di Vladimir Putin Russia Unita: “un accordo politico diffuso sul web” – ha tagliato corto – “l’intesa richiedeva collaborazione fra i nostri movimenti giovanili su temi culturali ed economici, esattamente come abbiamo accordi con il Front National in Francia e il Freedom Party in Austria”. Chiunque invece parli di legami finanziari fra i due partiti – ha aggiunto – sparge fake news, perché “non abbiamo mai preso un euro, un rublo o un dollaro”.

Salvini rimane dunque coerente alla linea filo-Cremlino tipica del suo Carroccio, in fondo ormai divenuta linea di governo. Il segretario leghista però si spinge oltre. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha votato a favore del rinnovo delle sanzioni europee a Mosca durante l’ultimo Consiglio Europeo, rimandando alle calende greche la “revisione” promessa nel contratto di governo. Salvini invece è convinto che le sanzioni debbano sparire al più presto, perché “hanno dimostrato di essere inutili, e, secondo i dati, danneggiano l’export italiano (nostra editor’s note: sarà anche vero che l’impatto sull’economia russa delle sanzioni Ue sia discutibile, ma i dati parlano senz’altro di un contraccolpo minimo sull’export italiano). Su questo punto si deve registrare la distanza fra Trump e l’intraprendente ministro dell’Interno. Il primo, di ritorno dal summit di Helsinki, ha dovuto fare marcia indietro, non senza una certa pressione dell’intelligence, rispetto a certe dichiarazioni troppo entusiaste e accondiscendenti fatte in conferenza stampa con Vladimir Putin. Salvini invece, pur ribadendo l’appartenenza italiana alla Nato, mantiene la barra dritta sui rapporti con Mosca che, va detto, finora non ha trovato le sponde auspicate in Europa.

Il titolare del Viminale visiterà presto gli States. Ma non ora, ha chiarito al WaPo, “prima devo andare a visitare i Paesi nordafricani”. Ritorna così la promessa del governo gialloverde di impegnarsi per un Piano Marshall per il Nord Africa. “L’Italia può fare poco”, ha però chiarito Salvini, “sarà l’Europa a investire”. L’obiettivo è “normalizzare la situazione”. Come, quando, dove? Domande che per il momento resteranno senza risposta. L’idea di fondo è partire dagli Stati di transito nella regione subsahariana: “Niger, Chad, Mauritania, anche la Nigeria è molto importante”. Gli investimenti nel Continente nero però dovranno seguire una svolta nelle politiche migratorie Ue, ha continuato Salvini, di cui l’Italia è al contempo protagonista e vittima. Nessuna divergenza con il resto della coalizione, ha rassicurato: “sono sulla stessa linea d’onda del presidente Conte, i toni sono diversi ma abbiamo la stessa posizione”. Se il braccio di ferro del governo non basterà a imprimere il cambiamento a Bruxelles, bisognerà farlo alla prima occasione: le elezioni europee del 2019. Il segretario leghista si dice pronto a creare un’internazionale populista con un suo gruppo nell’emiciclo di Strasburgo: “L’Europa è sempre stata governata da un accordo fra partiti socialisti e democratici. Voglio mettere insieme un raggruppamento che ottenga la maggioranza al Parlamento Europeo, partiti da Austria, Olanda, Svezia, Francia, Germania e il resto d’Europa”. L’idea richiama neanche troppo velatamente il sogno dell’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon, che di recente ha invocato a Roma la nascita di un’internazionale populista contro “il partito di Davos”. Per il nome c’è ancora tempo. Che lo chiamino pure partito populista, ha chiosato infine il ministro, “per me ‘populista’ è un complimento”.



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