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Perché attaccare Bergoglio significa, anche, sfidare il Concilio

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Che cosa tiene insieme l’ostilità a papa Bergoglio? Un certo tradizionalismo, di cui molti parlano per chi ne ha chiesto le dimissioni? O forse una certa ostilità al dialogo interreligioso, che si può scorgere in chi si dichiara suo sostenitore o coautore in Italia e negli Stati Uniti? Una possibile risposta da indagare, e meno semplice di quel che appare, sta in poche parole: “un’idea di potere.” La pedofilia come sospetto da brandire e non come problema di una concezione malata del potere da estirpare, l’avversione verso il dialogo interreligioso come via alla materializzazione di uno scontro di civiltà che unisce religione e potere politico, il tradizionalismo come rimando a un’esperienza che ha visto l’imperatore sostituire Cristo come riferimento fondante e il papa indossare la tiara del triregno, quale padre dei re, rettore del mondo, principe dell’universo. Chi ha queste priorità non può che temere un papa come Francesco, come certi ambienti temevano un papa come Paolo VI. La sua, come quella di Paolo VI, è una chiesa che si fa dialogo, che sta nella storia, non si crede un giudice al di fuori e al di sopra di essa.

La crisi della globalizzazione reale, che avrebbe bisogno della visione poliedrica invocata da Bergoglio per tornare a parlare ai nostri concittadini, offre ai fautori di un identitarismo reazionario l’opportunità di un riscatto. Questa politica identitaria e reazionaria ha bisogno di sfruttare le difficoltà della globalizzazione per imporre un riflusso nazionalista, che sostituisca la Chiesa universale con Chiese patriottiche. Che si tratti di una politica reazionaria lo spiega il principale teorico del liberalismo, Friedrich Von Hayek. Per questo economista austriaco, premio Nobel per l’economia del 1974, i conservatori diventano reazionari perché si oppongono al cambiamento senza badare al fatto se sia positivo o negativo, hanno paura del progresso e del nuovo, mentre il liberalismo si basa sulla fiducia. Per questo Von Hayek asseriva che il conservatorismo porta allo spirito reazionario, avvertendo il fascino dell’autorità, essendo incline a servirsi del potere pur di impedire ogni cambiamento. Questo conservatore divenuto reazionario invoca il protezionismo contro l’internazionalismo, ma spesso gli manca una conoscenza basilare del modo in cui la crescita economica è legata al bisogno di libertà e “alle forze spontanee su cui una politica di libertà fa assegnamento”. La sua conclusione fa impressione riletta oggi: il conservatore divenuto reazionario è senza scrupoli, perché non ha una filosofia politica. Non è questa l’impalcatura che sottosta alla democrazia cristiana illiberale di Orban? La sua visione però per affermarsi ha bisogno di smantellare la Chiesa universale e sostituirla con Chiese patriottiche, identitarie, nazionaliste, fedeli ai Presidenti, o ai Raìss, e non al papa.

Costruire queste Chiese patriottiche richiede paura dell’immigrato, la percezione di una guerra tra poveri, la contrapposizione da noi contro loro figlia di un cristianesimo che può arrivare a giustificare la xenofobia come dall’altra parte ha fatto una deriva islamista che ha giustificato e giustifica il terrorismo. Così non sorprende che dietro il recente documento contro Papa Francesco, il papa della Chiesa universale, Chiesa-dialogo, ci sia l’attenzione e il sostegno anche di chi ha creduto in una certa rappresentazione della tragedia siriana. Quella rappresentazione, che considera le proteste popolari e non violente contro il regime genocidiario di Assad un incidente occasionale o una breve parentesi, ha offerto una visione da musulmani contro cristiani, non rilevando che le vittime più numerose dell’Isis sono musulmane e dimenticando che i terroristi furono fatti affluire nella regione dal regime siriano per fermare i Marines in Iraq.

È così che quel Medio Oriente è diventato la madre delle Chiese patriottiche, come ha ben indicato suor Yolande Girges in un’intervista: “il presidente, il popolo e l’esercito sono la nostra Santissima Trinità”. Dobbiamo gratitudine a suor Yolande Girges; senza di lei sarebbe stato difficile rendere in modo così efficace e chiaro e capire che quelli che noi appaiono capitoli disconnessi sono anelli di un pensiero che occorre capire bene per farsi un’idea di quale argine sia Papa Francesco, e da quale visione sia avvertito come il vero pericolo. Che questa teologia sia apprezzata da alcuni ambienti politici americani vicini alla teologia della prosperità e ora da alcuni suoi cantori anche in Italia conferma la centralità della visione di Jorge Mario Bergoglio: Chiesa in uscita, Chiesa dalle porte aperte, Chiesa ospedale da campo, Chiesa della misericordia.

È l’unica proposta alternativa, rispettosa delle diversità, che si vede alla democrazia cristiana illiberale teorizzata ora da Orban, assai simile a quelle democrazie che in altri contesti vogliono imporre agli Stati leggi e codici religiosi. Ognuno è padrone delle sue idee, a me sembra che la sfida a Bergoglio sia la sfida al Concilio e a tutte le grandi novità che ha regalato a chi non ha nostalgia della guerra, delle religioni in armi.

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