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Manovra in corso. Salvini spinge e Di Maio frena. In mezzo Tria (e lo spread)

Domani sarà un giono importante. Perché si capirà se il patto sulla manovra siglato venerdì sera (qui l’analisi di Formiche.net) sarà veramente a prova di spread. Flat tax e reddito di cittadinanza dentro la prossima legge di Bilancio ma senza sforare i vincoli Ue, a cominciare dal totem del 3%. In più, come dice Luigi Di Maio e come vogliono i commercianti, senza aumentare l’Iva.

Non si può dire che manchi l’ambizione nell’esecutivo gialloverde in questo primo scampolo di agosto, mese che precede la prima stesura della manovra. A Palazzo Chigi, come al Tesoro, sono sicuri. L’intesa messa in calce da Giovanni Tria, Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Di Maio reggerà all’urto del rigore europeista. Ma allo stesso tempo accenderà finalmente i motori del contratto gialloverde.

Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e stavolta nemmeno tanto calmo. Le intenzioni sono delle migliori, va bene, ma la strada che conduce alla prima manovra legastellata a prova d’Europa è stretta. Per tante ragioni. Questa mattina, in un colloquio con il CorSera, Salvini ha dato un messaggio di questo tipo. Il 3% è un confine che è meglio non oltrepassare, ma non per questo invalicabile. Per dirla alla Salvini “cercheremo di rispettare tutte le regolette ma se l’alternativa è tra l’aiutare o il disastrare le famiglie io dico che il 3% non è la Bibbia”.

C’è del vero. Per mantenere le promesse elettorali, dare seguito all’intesa di venerdì e non urtare la sensibilità dell’Europa (e dei mercati), bisogna rastrellare un bel po’ di soldi. Salvini lo sa ed è per questo che mette le mani avanti sulla manovra: noi ce la mettiamo tutta ma se non saltano fuori i denari necessari occorrerà fare delle scelte drastiche.

Di Maio da parte sua oggi afferma di non volere strappi con l’Ue: è la linea prudente di Tria il quale ha però anche garantito ai due vicepremier l’ingresso delle due misure chiave del contratto nella prossima manovra. Ma il capo del M5S dice anche un’altra cosa. E cioè che l’Iva non aumenterà. Questo però pone un problema perché delle due l’una. Se non aumenta l’Iva e non si vuole sforare il vincolo sul deficit, da dove saltano fuori le risorse per la flat tax e il reddito di cittadinanza, considerando che la manovra parte da una base di importo di 20 miliardi (qui un’altro approfondimento)?

L’idea per aggirare l’aumento dell’aliquota (che Confindustria e lo stesso Tria accetterebbero pure qualora fosse il male minore), sarebbe il taglio delle agevolazioni. Una giungla di 800 sconti tra detrazioni e deduzioni fiscali. Anche qui però non è facile, perché significa alleggerire le buste paga di chi, per esempio, ha diritto ai rimborsi Irpef, impattando anche sul potere d’acquisto. Senza considerare che le risorse frutto di tale taglio non sono ancora state contabilizzate.

Ancora una volta toccherà a Tria fare il giocoliere. Finora ci è riuscito sul piano politico, portando a casa un’intesa importante, non scontata. Adesso però bisogna parlare di numeri. E di soldi.

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