Skip to main content

Odio social e società del rancore. Risso (Swg) spiega la deriva politica di oggi

democrazia social

Dai tragici fatti di Genova, andando indietro alle vicende legate agli sbarchi dei migranti o anche all’Ilva, la politica e i politici che la rappresentano, fanno, oggi, un uso dei social network mirato a infiammare gli animi del cittadino. “La politica ha sempre funzionato, in passato come oggi, individuando un nemico. Ogni forza politica nella storia ne ha sempre trovato uno da combattere, col quale usare gli strumenti, che un tempo venivano definiti della propaganda, per tracciarne i tratti più nefasti”, commenta Enzo Risso, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore scientifico di Swg, in una conversazione con Formiche.net, in cui analizza i processi comunicativi che la nuova classe politica ha messo in campo per attirare consensi.

Comunicazione amplificata che, in molti casi, alimenta l’odio dell’utente che ne usufruisce: “Questo evidenzia che siamo in una società il cui tratto principale è quello del rancore. Una società che viene da una lunga crisi e che a un certo punto ha avuto un processo di declassamento sociale. Anche perché, se nel 2002 si sentivano di far parte del ceto medio circa il 70% delle persone, oggi si sentono tali il 40% degli italiani. Un declassamento di circa il 30% dell’opinione pubblica”. Cifre non indifferenti che potrebbero scatenare, come già avvenuto in qualche caso, una pericolosa escalation di insofferenza. Terreno fertile sul quale crescono e si sviluppano emissioni di intolleranza gratuita. Dunque, un cittadino sì più cristico ma, forse, allo stesso tempo, meno informato.

Cosa ne pensa della politica social degli ultimi tempi, in cui si alimenta e si esaspera il conflitto tra le parti?

Un tempo il nemico potevano essere, per le forze di sinistra i capitalisti, per la Democrazia Cristiana o per Berlusconi erano i comunisti. Oggi per i Cinque Stelle i nemici sono i vecchi politici. L’altro giorno Luigi Di Maio ha attaccato brutalmente i Benetton, dicendo che hanno finanziato la campagna elettorale di Renzi, per esempio. Ogni forza politica individua un avversario contro cui scagliarsi, cui viene addebitata la responsabilità del male e propone una soluzione contrapposta o avversa. Questo oggi è il cuore della politica, che si esprime attraverso i social, e che ieri si esprimeva per esempio attraverso i giornali di partito. La differenza tra i social e giornali di partito è che i social hanno non solo una maggiore diffusione e accessibilità, ma creano un maggior senso di comunità. La logica però è sempre quella.

I social, però, permettono agli utenti un’interazione immediata con quanto dichiarato dai politici. Questo, secondo lei, può causare un’escalation di odio, che in qualche modo, si auto-alimenta? Penso per esempio a quanto è accaduto al Presidente Mattarella durante la formazione del governo.

Questo è uno degli elementi di degrado che sta vivendo la nostra democrazia, perché ha trasferito quella che è la dimensione “da bar” nel commento. Le persone in questo caso trasferiscono, scaricano la loro rabbia esistenziale su un tema. Questo evidenzia che siamo in una società il cui tratto principale è quello del rancore. Una società che viene da una lunga crisi e che a un certo punto ha avuto un processo di declassamento sociale. Questo anche perché se nel 2002 si sentivano di far parte del ceto medio circa il 70% delle persone, oggi si sentono tali il 40% degli italiani. Quindi un declassamento di circa il 30% dell’opinione pubblica. Persone che non vedono una dinamica di futuro positivo davanti a sé e scaricano la loro rabbia sociale in questo tipo di dimensione. In altri momenti storici ciò è avvenuto ugualmente nelle piazze.

Un fattore che può avere una ripercussione anche sul voto? È un po’ come se fossimo sempre in campagna elettorale?

Certo, perché le persone si orientano verso le forze politiche che in questo momento stanno dando una risposta, stanno raccontando quella rabbia. La crisi di Berlusconi che si trova oggi al 7% è il segno che l’ideale liberista da lui proposto dal ’94 in poi, in questo momento, dopo la crisi del liberismo e dopo che la globalizzazione ha portato le persone all’impoverimento, non ha appeal. I nuovi media, soprattutto i social, consentono di costruire legami politici fondati su vettori emozionali e neo ideologici. In qualche modo, dopo anni dalla fine delle ideologie, i social consentono ai leader politici di costruirne proprio di nuove. E di generare orizzonti di riferimento. E si potrebbe dire quasi che attraverso questi si generano le dottrine, in qualche modo. La vecchia concezione del concetto di dottrina. Letture, percezioni, visioni del mondo. E quindi con le conseguenti proposte e risposte ad azioni risolutive.

Una prospettiva in un certo senso spaventosa ma molto interessante.

Si ricostruisce la politica in qualche modo. La politica che era fatta di dottrine, visioni del mondo e risposte che prevedevano letture, interpretazioni e azioni conseguenti. In qualche modo dopo la fine delle ideologie, torniamo a nuove ideologie.

Fino a che punto i leader politici si possono spingere senza generare un pericoloso effetto boomerang, come quello che già sta iniziando a verificarsi attraverso, per esempio, diverse azioni di violenza nei confronti dei migranti?

Purtroppo non c’è un tempo limite. Il senso del limite è il senso del rispetto e della convivenza con gli altri, questo dovrebbe essere. Ma mi sembra, soprattutto sui social, non tanto dai politici quanto più dalle persone comuni, che il concetto della “mia libertà finisce dove comincia la tua”, sia abbastanza dimenticato. Diciamo che il tratto di fondo è che in questi anni abbiamo seminato vento e adesso stiamo raccogliendo tempesta, come società globale. Da questo punto di vista si raccolgono i frutti di quello che è stato per anni il venir meno del rafforzamento della democrazia e della convivenza civica. Di questo però, oserei dire non per giustificare, non ne sono responsabili solo Salvini e Di Maio. Dobbiamo ritornare un po’ indietro nel tempo.

Il ruolo delle fake news come si inserisce in questo contesto?

Le faccio un esempio. L’altro giorno giravano immagini dell’arcata un ponte che si diceva fosse quello della A10 ma che in realtà appartenevano ad un altro ponte, in un’altra zona. I social consentono a chiunque di mettere in rete notizie emozionali per, in un certo senso, gettare benzina sul fuoco di una tragedia. Rilanciare notizie del genere non è fatto per fare informazione ma per creare un movimento emozionale di accusa nei confronti della Società Autostrade. I politici in questo momento però fanno un uso dei social che consente loro di instaurare un sistema meta-politico di relazione con le persone, offrendo visioni del mondo per costruire nuovi legami politici.

Secondo lei, con il tempo, questo modus operandi della politica con i social, stancherà o continuerà a raccogliere ancora a lungo sotto la sua ala l’insoddisfazione del cittadino?

Per il momento direi che è una nuova forma di costruzione delle relazioni tra leaders e cittadini e non ne vedo, sinceramente ancora segnali di stanchezza. L’ideologia ha resitito qualche secolo, quindi, diciamo che per qualche anno è possibile che andrà avanti così. Non mi aspetto che duri secoli, sia chiaro, i tempi di oggi sono molto più celeri. Ma è solo qualche anno che stiamo utilizzando i social in questo modo, diamo tempo al tempo.


×

Iscriviti alla newsletter