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Deficit e mercati, per l’Italia è l’ora della prudenza. I consigli di Messori

​L’arrivo della procedura per disavanzo e il ritorno del Patto di stabilità chiudono di fatto una stagione fatta di spese e tentativi in buona fede di abbassare le tasse. Ora al governo servono poco meno di 40 miliardi se si vuole blindare la manovra. I mercati? Roma non può permettersi una collisione di Parigi con Bruxelles. Intervista all’economista della Luiss e saggista, Marcello Messori

I mercati, almeno per il momento, l’hanno presa bene. La procedura per deficit eccessivo piovuta sull’Italia pochi giorni fa non ha terremotato il costo del debito sovrano, dal momento che i rendimenti sul titolo decennale, nonostante uno spread Btp/Bund intorno ai 150 punti base, si sono riportati sotto quota 4%. Semmai il problema è un altro.

E cioè che il governo, se davvero vorrà portare a casa una manovra di almeno 20 miliardi, dovrà sempre tenere a mente che la procedura può costare fino a 10 miliardi all’anno in termini di rientro. Spesa a cui va aggiunto anche il costo del Patto di stabilità, le cui regole torneranno in vigore a partire dal prossimo gennaio. Un quadro complesso, dice senza dubbi a Formiche.net l’economista e saggista Marcello Messori. Anche se le soluzioni per uscirne senza le ossa troppo rotte ci sono.

L’Italia ha incassato la procedura per deficit eccessivo. Nulla di nuovo, al Tesoro erano pronti a questo momento. Smaltito dunque l’effetto emotivo, quale una buona ricetta per disimpegnarsi nel modo meno indolore possibile?

Al fine di valutare l’impatto della procedura per deficit eccessivo proposta dalla Commissione nei confronti dell’Italia e di altri sei Paesi dell’Unione europea sarà bene esaminare con attenzione le motivazioni di questa pur scontata decisione. E, per avere un quadro completo, sarà necessario valutare i piani pluriennali nazionali di aggiustamento per i Paesi con bilanci pubblici in squilibrio che saranno definiti in autunno e dovranno essere vagliati dalla Commissione stessa e approvati dal Consiglio della Ue. Per ora sappiamo che, come nel caso delle vecchie regole fiscali, le nuove regole prevedono che i Paesi sotto procedura per deficit eccessivo debbano attuare una correzione annuale strutturale del relativo disavanzo di almeno lo 0,5%. Vanno, però, aggiunti due fattori.

Quali?

Da un lato, nel triennio 2025-2027, sempre le nuove regole introducono mitigazioni negli aggiustamenti per tenere conto di fattori quali l’incremento negli oneri finanziari nazionali sul debito pubblico imputabile a restrizioni della politica monetaria. Dall’altro lato, le istituzioni europee devono evitare che il processo di riassorbimento del deficit eccessivo di un dato Paese sia così lento da essere incompatibile con gli aggiustamenti di bilancio, soprattutto in termini di rapporto debito pubblico/Pil, previsti dal suo piano pluriennale. A quest’ultimo riguardo, la Commissione sta comunicando ai vari Paesi in squilibrio traiettorie di riferimento per gli aggiustamenti nazionali che non sono prescrittive ma che definiscono un perimetro difficilmente eludibile nella sostanza. Ed è su tale base che molti analisti prevedono che, per il primo anno di durata della procedura, il 2025, all’Italia saranno richieste correzioni di bilancio intorno ai 12 miliardi di euro.

Ma allora la ricetta si limita a seguire le correzioni di bilancio richieste dalla Commissione?

Il quadro è più complesso. Ai circa 12 miliardi di aggiustamento richiesti per la sostenibilità del bilancio pubblico, si aggiungono gli oltre 20 miliardi richiesti per estendere i provvedimenti fiscali in scadenza a fine 2024, in primis, il taglio del cuneo fiscale e i quasi 5 miliardi imposti dal rinnovo delle spese indilazionabili e dall’aggiunta di nuove, soprattutto per la difesa e la sicurezza.

Parla della manovra, ovviamente…

Esatto. Ne emerge che la Legge di bilancio italiana per il 2025 dovrà reperire risorse addizionali in termini di maggiori entrate o minori spese per poco meno di 40 miliardi. Se il governo italiano vorrà poi attuare anche una parte delle promesse fatte in termini di ulteriori riduzioni della tassazione per specifici settori sociali e in termini di assorbimento degli impatti squilibranti di alcune sue scelte, per esempio, a causa della maggiore autonomia regionale, questa cifra sarà destinata a subire drastici aumenti. Ed è evidente che impegni di bilancio di tale portata richiedono un utilizzo molto efficiente delle risorse europee per gli investimenti, ovvero il Pnrr e una drastica razionalizzazione delle spese pubbliche inefficienti. Una ricetta così severa potrà forse essere elusa nel breve termine, ma è invece quella da perseguire nel medio termine.

Il ministro Giorgetti ha fatto chiaramente intendere di non voler andare oltre un deficit del 4,3% nel 2024, così come messo nero su bianco nel Def. Ma, dati i suoi precedenti calcoli, i conti non tornano… oppure sì?

Credo che i conti per il 2024 non torneranno a causa di un tasso aggregato di crescita inferiore a quello previsto dal governo. Invece, per il 2025, sarà necessario ammettere che si impone una svolta nella gestione del bilancio pubblico. Chiusa la stagione dell’ingente spesa corrente giustificata dall’impatto pandemico e predisposte le condizioni per gli investimenti previsti dal Pnrr, si tratterà d: utilizzare al meglio le risorse europee anche come volano per gli investimenti privati nella manifattura e nei servizi avanzati, tagliare quella parte della spesa pubblica che alimenta le posizioni di rendita e aumenta le diseguaglianze sociali, potare drasticamente le proposte governative che non servono, ma anzi fungono da vincolo, allo sviluppo sostenibile del Paese.

Fare altro deficit è impossibile, questo è evidente. E allora torna la solita domanda esistenziale, come si fa ad abbassare le tasse? Verrebbe da dire che l’unico modo, nell’attesa che la crescita torni a macinare, è tagliare la spesa pubblica. Ma come? E dove?

Non credo che vi siano spazi per abbassare le tasse in modo generalizzato. Si tratta, invece, di correggere le distorsioni, introdotte in questi anni a favore di varie tipologie di lavoro autonomo, così da reperire risorse a favore di una minore pressione fiscale sui redditi bassi e medio-bassi. L’Italia è il solo Paese economicamente avanzato, in cui i salari medi sono stati a lungo stagnanti in termini nominali e sono diminuiti in termini di potere di acquisto. Ed è quindi necessario un sostegno anche pubblico per le fasce più deboli della popolazione che sia alimentato dalla fiscalità generale. Poi, vi è il capitolo dei tagli alle spese pubbliche inefficaci e inefficienti. Ma qui il compito diventa impervio perché i tagli a queste tipologie di spesa penalizzano proprio gli aggregati della società che sono alla base del sostegno elettorale all’attuale coalizione di governo.

La grande variabile in tutto questo sono i mercati, che prestano all’Italia decine di miliardi all’anno. Una possibile vittoria delle destre in Francia potrebbe nuocere all’Italia, innervosendo gli investitori? E una collisione tra Roma-Parigi con Bruxelles è da mettere nel conto?

La domanda ci riporta ai problemi europei e chiude idealmente il cerchio dei nostri ragionamenti. Anche se l’Italia ha ridotto la propria dipendenza dagli investitori internazionali per il collocamento dei propri titoli pubblici, è evidente che i sottoscrittori nazionali di tali titoli sono influenzati dalle tensioni nei mercati finanziari europei. Pertanto, gli interessi economici dell’Italia sarebbero soddisfatti da una stabilizzazione della situazione europea e non dall’acuirsi delle tensioni in Paesi cruciali della Ue. D’altronde il permanere di una forte liquidità anche nella Ue ha finora assorbito le tensioni geo-politiche e gli scossoni elettorali. Tuttavia, il permanere di fattori di instabilità e l’affermarsi di governi euro-scettici sarebbero fattori letali nel medio periodo.

In che modo?

I problemi attuali della Ue in un contesto internazionale sempre più conflittuale possono essere affrontati e superati solo grazie a un rafforzamento della sovranità europea. Davvero, i singoli Paesi possono illudersi di attuare piani efficaci di difesa e di sicurezza a livello nazionale? Davvero, possiamo ridurre i crescenti ritardi tecnologici rispetto ai giganti statunitensi e cinesi puntando su imprese chiuse nei recinti di piccole economie nazionali come sono quelle di ciascuno dei paesi della Ue presi singolarmente? Davvero possiamo pensare di mobilizzare la ricchezza pubblica e privata della Ue senza costruire mercati finanziari transnazionali che si affermino come mercati europei? Ed è credibile avviare transizioni verdi agendo a livello nazionale?

Senza Europa, insomma, non si va da nessuna parte…

Io penso che la risposta negativa a queste e a molte altre domande di analogo tenore chiarisca perché una collisione fra Parigi e le istituzioni europee o fra Roma e le istituzioni europee sarebbe molto negativa. Un contrasto ricorrente impedirebbe di realizzare quelle iniziative per il rafforzamento della sovranità europea che è condizione necessaria per garantire la posizione internazionale della Ue e pe riprodurre il suo modello di coesione sociale.

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