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La Cina si ingolfa, le banche Usa riscrivono le previsioni di Xi

​Citigroup e Goldman Sachs tagliano le stime di crescita del Dragone, certificando la connessione tra crisi della domanda ed economia anemica. Mentre le banche cinesi tremano ancora

L’economia cinese è sempre più simile a un motore che perde giri, fino a ingolfarsi del tutto. Se ne sono accorti economisti, analisti, semplici osservatori e persino le grandi banche di investimento. Specialmente quelle americane, da sempre molto vigili sullo stato di salute del Dragone, complice anche la loro esposizione, ridimensionata negli ultimi anni, alla finanza cinese. Ebbene, le principali banche statunitensi hanno tagliato le loro proiezioni di crescita per la Cina quest’anno.

Un esempio? Goldman Sachs e Citigroup hanno ridotto le loro previsioni di crescita economica per l’intero anno al 4,7%, dopo che la debole attività economica di agosto, nello specifico la produzione industriale, ha messo in luce la debole ripresa della Cina e la necessità di ulteriori stimoli per sostenere la domanda dei consumatori. Goldman Sachs aveva inizialmente previsto una crescita annuale dell’economia del 4,9%, mentre Citigroup aveva previsto un aumento del 4,8%. Ma la crescita incerta ha portato a un ridimensionamento delle proiezioni per il 2024 al di sotto dell’obiettivo del governo di circa il 5%.

D’altronde, secondo gli stessi dati pubblicati dall’Ufficio nazionale di statistica cinese, la produzione industriale cinese è aumentata del 4,5% ad agosto su base annua, rallentando rispetto al tasso del 5,1% di luglio e segnando la crescita più lenta da marzo. Ma è sui consumi che si sta mettendo male, come raccontato in queste settimane da Formiche.net. Le vendite al dettaglio, indicatore chiave dei consumi, sono aumentate del 2,1% ad agosto, decelerando da un aumento del 2,7% a luglio. Questo vuol dire che i cinesi stanno stringendo la cinghia, smettendo di spendere, a fronte di una manifattura che copre un terzo della domanda globale. Surplus che si riversa prontamente sui mercati stranieri, dando vita all’ormai famosa sovracapacità cinese, con tutte le conseguenze, nefaste, del caso per l’economia globale.

“Riteniamo che il rischio che la Cina non raggiunga l’obiettivo di crescita del Pil annuale di circa il 5% sia in aumento, e quindi anche l’urgenza di ulteriori misure di allentamento della domanda sta aumentando”, ha affermato Goldman Sachs. Mentre, sponda Citigroup, “siamo convinti che la politica fiscale debba intensificarsi per rompere la trappola dell’austerità e implementare tempestivamente il sostegno alla crescita”.  E anche per la famosa banca d’affari giapponese, Nomura, le cose in Cina si stanno mettendo male. “L’economia cinese rischia di trovarsi ad affrontare una seconda ondata di shock”.

Magari proprio sul versante bancario nazionale, alle prese con un calo senza precedenti dei rendimenti dei titoli pubblici. Gli istituti, da quando Pechino ha lanciato il suo piano da mille miliardi di bond, lo scorso maggio, hanno fatto man bassa di debito sovrano. Ma forse a Pechino non avevano previsto la scarsa tenuta dei rendimenti, nonostante gli sforzi della Pboc, la banca centrale cinese, nel sostenere gli acquisti di titoli, nel tentativo di stabilizzarne il prezzo. Negli Stati Uniti la svalutazione dei portafogli, anche se lì c’erano di mezza prodotti retail e non titoli di Stato, ha portato al crack della Silicon Valley Bank. Un canovaccio che ora potrebbe ripetersi in Cina.



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