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Dalla Germania una indicazione per i cattolici. Chiapello spiega quale

Di Giancarlo Chiapello

Accanto all’esempio tedesco si potrebbe invitare a guardare anche a quello vicino sanmarinese: entrambi sollecitano i cattolici italiani ad abbandonare le zavorre formatesi negli ultimi 25 anni e a riprendere in autonomia il ruolo di difensori della democrazia integrale. Il commento di Giancarlo Chiapello

In queste settimana alcune notizie si stanno rivelando assai interessanti per comprendere ed analizzare alcuni aspetti della democrazia italiana ed europea. Andando in ordine cronologico è passato un po’ inosservato, l’intervento fatto dal direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini al Meeting di Rimini di quest’anno. All’interno della condivisibile riflessione durante il panel Qual è il volto buono della pubblica amministrazione? che non può non essere riconosciuta come il miglior alleato di ogni governo e del parlamento e la principale infrastruttura pubblica del paese, perché ne garantisce ad ogni livello il funzionamento avendo così bisogno di investimenti e formazione continui, ha fatto una affermazione di notevole importanza alla luce della evidente crisi di partecipazione che, conferma con le sue parole, non può essere disgiunta dalla crisi di rappresentanza: ha detto, infatti, che l’astensione era minore con il sistema proporzionale e aggiungendo “ma era minore anche l’evasione fiscale.  Come se, ma è un dato tutto da dimostrare, il sentirsi rappresentati spingesse di più a votare ma anche a contribuire per la collettività”.

Si tratta di un argomento centrale per la buona “manutenzione” di una democrazia integrale e per sottrarsi alle polarizzazioni che ormai sono una patologia che potrebbe evidenziare quella che Colin Crouch ha definito “postdemocrazia”, cioè la parabola discendente della democrazia: “l’idea di postdemocrazia ci aiuta a descrivere situazioni in cui una condizione di noia, frustrazione e disillusione fa seguito a una fase democratica; quando gli interessi di una minoranza potente sono divenuti ben più attivi della massa comune nel piegare il sistema politico ai loro scopi, quando le élite politiche hanno appreso a manipolare e guidare i bisogni della gente, quando gli elettori devono essere convinti ad andare a votare da campagne pubblicitarie gestite dall’alto”.

Ed è probabilmente il varco problematico delle democrazie moderne individuato da Mino Martinazzoli e che richiamerebbe i cattolici in generale, i popolari in particolare, a riandare alla stessa radice della fondante idea di “democrazia cristiana”, che ha sempre avuto una ispirazione integrale e non integralista, abbandonando il sostegno dato da un quarto di secolo alle colonizzazioni ideologiche di destra e sinistra e di centro quando non aggettivato cioè estraneo alla lezione sturziana (in tal caso perfino i radicali sono geograficamente centristi, portatori di una sorta di politica di centro, determinando un cortocircuito) come impostata dal grande economista e sociologo Giuseppe Toniolo: “…infine, perché meglio il motto e quasi direbbesi l’impresa di questa novella cavalleria rispondesse al suo proposito più determinato di non discutere e caldeggiare soltanto gli interessi sociali in genere, ma con preferenza quelli delle moltitudini inferiori, in nome dello spirito cristiano, una parte crescente di studiosi e operosi cattolici in più luoghi si compiacque d’intitolarsi della ‘democrazia cristiana’”.

La prova provata della preferenza per il sistema e il principio stesso proporzionale, come difesa della democrazia stessa, oltre che dalle riflessioni di don Sturzo, arriva dalla Germania dove esso fotografa e permette di esprimersi, senza forti manipolazioni del risultato, al popolo anche quando gli esiti possono non piacere ma non determina una rivolta delle élites contro il popolo che va compreso non annichilito e riduce l’astensionismo. Dopo le elezioni in Sassonia e Turingia, infatti, si possono evidenziare tre cose: l’avanzata delle destre estreme che intercettano a questo giro, senza risposte veramente concrete, il disagio sociale molto forte nella parte orientale tedesca, la risposta del progressismo mainstrem (da cui si è discostato, ottenendo un risultato a doppia cifra, un nuovo partito di estrema sinistra con posizioni ideologicamente più classiche) che, dalla posizione di governo, perde e dà una risposta a ciò riassumibile nella fulminante frase pessimista verso la gente comune, il cittadino medio, di Bertold Brecht, “il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”, la tenuta e perfino un guadagno di voti della Cdu, il partito democristiano che, grazie al sistema a base proporzionale riesce a mantenere il centro tra i partiti costringendo tutti a stabilizzarsi, a connettersi col popolo, ad arginare le estreme, a farsi fulcro delle conseguenti alleanze.

Proprio a proposito dei democristiani è emblematico il caso del distretto di Eichsfeld, l’unico della Turingia non conquistato dall’Afd: cosa avrebbe di particolare? Una maggioranza cattolica che ha fatto titolare un pezzo sul quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung, “il collegio elettorale troppo cattolico per Jorn Hocke”, in cui i cattolici praticanti sono visti come immuni dall’estremismo politico e dal nazionalismo etnico. Come hanno fatto a rimanere immuni? Tre elementi li distinguono se paragoniamo con la disfatta italiana con la divisione tra cattolici del sociale e cattolici della morale a servizio di destra e sinistra, capaci solo più di barbose giustificazioni generaliste e difese di strapuntini invecchiati male, con ricadute negativa anche nella dimensione ecclesiale : in Germania vige il principio proporzionale, una confermata centralità delle assemblee elettive ad ogni livello che, invece di essere ristrette spacciandole per costi, hanno mantenuto una capacità democratica di sussumere le istanze socio-politiche nelle istituzioni e i cattolici non si sono dispersi ideologicamente.

Ci sarebbe da aggiungere che mantengono forte quell’idea di sovranità nazionale ed europea lì incarnata da Adenauer, in Italia da De Gasperi, padri fondatori dell’Europa col francese Schuman sempre richiamati da papa Francesco, a cui si possono associare le lezioni di Moro, Fanfani ed altri, ricordando come il Santo Padre l’abbia ben declinata negli incontri con i Movimenti popolari per parlare di popoli artefici del proprio futuro. Accanto all’esempio tedesco si potrebbe invitare a guardare anche a quello vicino sanmarinese: entrambi sollecitano i cattolici italiani ad abbandonare le zavorre formatesi negli ultimi 25 anni e a riprendere in autonomia il ruolo di difensori della democrazia integrale e il loro miglior pensiero politico per fare ciò, il popolarismo radicato nell’idea democratico cristiana, ricementandosi grazie alla virtù dell’amicizia e ritornando protagonisti nel partito europeo di riferimento, Il Partito Popolare Europeo.

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