Proprio un anno fa, il prezzo del petrolio era precipitato ai livelli del maggio 2003. L’11 febbraio il greggio americano aveva toccato i 26,05 dollari al barile: oltre il 75 per cento in meno rispetto a un anno e mezzo prima. Intanto, le compagnie petrolifere estraevano ogni giorno tra 1 e 2 milioni di barili di petrolio in eccesso rispetto al consumo, saturando tutti gli stoccaggi disponibili.
Da quel momento è iniziata una faticosa risalita fino ai 52 dollari di dicembre 2016 e i 54 dollari raggiunti il giorno della Befana – che evidentemente deve aver scaricato combustibili fossili (solidi) nelle calze di alcuni petrolieri. Quindi il prezzo è sceso ancora e oggi annaspa di nuovo poco sopra i 54 dollari a causa di una combinazione di difficoltà geopolitiche concentrate nei Paesi maggiori produttori di greggio e di una raffica di notizie false – o quantomeno non accertate – provenienti sia dagli ambienti democratici sia da quelli repubblicani americani allo scopo di ostacolare i primi passi della presidenza Trump.
Nel primo quarto del 2017, se l’OPEC manterrà gli impegni presi a proposito dei tagli alla produzione, il prezzo del greggio potrebbe salire anche fino a 60 dollari; ma il valore raggiunto non sarà stabilizzato. È probabile che scenderà di nuovo fino ad assestarsi nuovamente fra i 40 e i 45 dollari o forse poco di più. Anche se diversi analisti, fra cui Goldman Sachs, prevedono una stabilizzazione proprio attorno ai 60 dollari, la International Energy Agency scommette su un valore attorno ai 50 dollari almeno nella prima metà del 2017 mentre si aspetta di veder raggiungere la soglia dei 55 dollari solo nella seconda metà dell’anno.
Infatti, è possibile l’arrivo di una pericolosa recessione proprio nel corso dell’anno appena iniziato per il combinato disposto di una serie di fattori.