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Così Austria, Francia e Spagna snobbano l’Italia su profughi e migranti

lorien, Tallinn

Il 6 e 7 luglio al vertice dei ministri dell’Interno che si terrà a Tallinn, in Estonia, la guerra (perché guerra sarà) riguarderà soprattutto la richiesta italiana di dirigere alcune navi cariche di migranti verso porti non italiani. Ma Francia e Spagna non vogliono saperne ed è difficile prevedere che cosa succederà di fronte ad azioni italiane unilaterali soprattutto dopo che l’Austria ha sistemato quattro blindati al confine del Brennero e nei prossimi giorni potrebbe mobilitare 750 soldati per proteggere i propri confini. Il ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, si fa forte del fatto che le richieste di asilo in Austria sono molto più alte che in altri Paesi: secondo le elaborazioni di Eurostat, infatti, i Paesi con maggior numero di richieste di asilo (per milione di abitanti) sono la Germania (8.789), la Grecia (4.625), l’Austria (4.587), Malta (3.989), Lussemburgo (3.582) e Cipro (3.350). In Italia le richieste per milione di abitanti sono 1.998. Numeri a parte, è chiaro che schierare i blindati alza moltissimo il livello dello scontro politico, rendendo ancora più difficile il vertice di Tallinn. (In questo articolo le decisioni della Commissione europea in vista di Tallinn)

Il comunicato e le dichiarazioni

Nella serata del 2 luglio la riunione a Parigi tra i ministri dell’Interno italiano, francese e tedesco si è conclusa con un accordo riassunto da una nota diffusa dal Viminale che contiene sei punti: un codice di condotta per le Ong che sarà elaborato dall’Italia; più addestramento e fondi alla Guardia costiera libica; più sostegno all’Oim e all’Unhcr perché i centri in Libia rispettino i diritti umani; rafforzamento delle frontiere meridionali libiche; una più incisiva azione sui rimpatri utilizzando al meglio Frontex; attuazione piena del piano per la ricollocazione in Europa. I ministri Gérard Collomb e Thomas de Maizière si sono impegnati con Marco Minniti “per accrescere i loro sforzi in tema di relocation”. Poche ore dopo la diffusione del comunicato, però, da Bruxelles fonti francesi hanno fatto sapere che nella riunione il ministro Collomb aveva escluso sbarchi nei loro porti e anche la Spagna è sulla stessa posizione. Inoltre, nonostante le insistenze italiane, non sarà cambiata l’attuale normativa sulla ricollocazione che prevede una determinata percentuale prima che una certa nazionalità possa rientrare tra quelle da distribuire per cui il programma di ricollocazione resterebbe limitato a siriani ed eritrei.

Rifugiati e migranti economici

La distinzione che alcuni fanno finta di non conoscere è invece alla base di ogni ragionamento e di ogni governo, anche di quello italiano. Il presidente francese, Emmanuel Macron, lo sta ricordando con chiarezza, ma non è una novità assoluta. Parlando davanti al Parlamento il 3 luglio, Macron ha ribadito che in Europa bisogna “accogliere i rifugiati politici che corrono un rischio reale perché fa parte dei nostri valori, senza confonderli con i migranti economici e senza abbandonare l’indispensabile mantenimento delle nostre frontiere” aggiungendo che occorre rivedere il sistema d’asilo che “non permette un trattamento umano e giusto delle domande di protezione”. Anche il governo italiano accetta chi ha diritto all’asilo e destina al rimpatrio chi non ne ha, pur avendo accordi di riammissione solo con alcuni Paesi di provenienza e questo complica le cose. Il vero nodo di questi giorni, dunque, non riguarda l’eventuale accoglienza di chiunque, bensì la destinazione delle navi in porti non italiani e francesi e spagnoli non le vogliono per il semplice motivo che dovrebbero sobbarcarsi il lavoro micidiale che fanno gli italiani: soccorrere e curare tutti, accogliere chi ha diritto all’asilo e rimpatriare gli altri.

Libia ancora fuori controllo

Le condizioni di sicurezza non consentono all’Organizzazione internazionale per le migrazioni di operare in Libia per migliorare la situazione dei centri che raccolgono i migranti. Il 28 giugno, per esempio, a 50 chilometri da Tripoli un convoglio Onu fu attaccato e i funzionari vennero rilasciati poco dopo. Fonti italiane parlano di 200mila persone pronte a partire sui barconi, secondo l’Oim complessivamente in Libia ci sono dai 500mila ai 700mila immigrati e la situazione è tale che sono più di prima quelli che tornano indietro volontariamente: quest’anno sarebbero già 5mila. Al 3 luglio secondo il Viminale erano giunti 85.183 migranti, il 19,5 per cento più dell’anno scorso, ma il dato preoccupante è che rispetto a un anno fa dalla Libia è arrivato il 40 per cento in più di persone. Questo perché per parecchi mesi dell’anno scorso si era riaperta la tratta egiziana come conseguenza degli accordi tra Ue e Turchia: 40mila migranti giunsero da lì mentre ora, chiusa dalla fine dell’anno scorso quella rotta, i trafficanti orientano di nuovo i flussi verso la Libia.

Sostenere la Guardia costiera libica

Nel caos diviso tra Tripoli, Tobruk, regione del Fezzan e tribù varie, i risultati ottenuti dalla Guardia costiera militare libica dimostrano che lì bisogna concentrare gli sforzi. Con le quattro motovedette consegnate dall’Italia nei mesi scorsi e con gli altri pochi mezzi a disposizione, i militari libici hanno fatto un salto di qualità evidente nel controllo delle loro coste: da 800 migranti salvati nel 2015, sono passati a 16mila l’anno scorso e a oltre 10mila nei primi sei mesi di quest’anno. Numeri alti se si pensa che quelle persone sarebbero finite sulle coste italiane. Il Viminale aveva annunciato che entro la fine di giugno sarebbero state consegnate altre sei motovedette, che però sono destinate alla Guardia costiera civile, quella del ministero dell’Interno: nella complicatissima geografia del potere libico una fetta toccava a loro, ma diversamente dai militari gli equipaggi sono da formare da zero e questo sta evidentemente causando dei ritardi. Un altro problema è che l’Ue non prende decisioni neanche sul controllo delle frontiere meridionali della Libia né si sente più parlare nell’Ue del “migration compact” proposto all’epoca da Matteo Renzi per investire nei Paesi di provenienza, anche se ci sarebbe un’idea franco-olandese per intervenire in Africa.

In quali porti andranno le Ong?

Il codice di condotta al quale dovranno attenersi le navi delle Ong sarà rigido e tanto per cominciare non potranno più entrare nelle acque territoriali libiche, oltre a dover fare chiarezza sui finanziamenti. Le indagini delle procure di Siracusa e Trapani e le audizioni parlamentari dei mesi scorsi (oltre alle rilevazioni delle varie missioni navali in atto) hanno dimostrato che le navi di alcune Ong sono entrate in quelle acque, anche in assenza di richiesta di soccorso per un naufragio, al solo scopo di raccogliere migranti a poche miglia dalla costa. Nelle prossime settimane che cosa potrà accadere? In attesa delle decisioni del vertice di Tallinn, il diritto internazionale prevede che i migranti soccorsi (e che vanno comunque salvati se in pericolo di vita) debbano essere portati nel porto sicuro più vicino. Questa disposizione rende sulla carta molto difficile applicare praticamente l’irrigidimento italiano e dunque sono imprevedibili gli sviluppi. Carta geografica alla mano, Malta e Tunisia sarebbero i punti di approdo più vicini, ma la prima non ha riconosciuto la Convenzione di Amburgo del 1979 e la seconda non è considerato un Paese sicuro per via del terrorismo. Se a Tallinn si andrà allo scontro, l’Italia dovrà mantenere il punto perché sarebbe molto peggio dare ragione a chi a Bruxelles considera un bluff la minaccia della chiusura dei porti. Resta per ora un’ultima domanda: se la sala operativa della Guardia costiera dovesse ordinare alla nave di una Ong di dirigersi altrove, ma non in Italia, e quella nave (forte anche del no di Francia e Spagna) disobbedisse e proseguisse la rotta verso un porto italiano, che cosa succederebbe? Un grande rischio sarebbe inoltre l’eventuale morte di un migrante a bordo di una Ong costretta a dirigersi altrove, ma non in Italia.

Gentiloni tra cauto ottimismo e timori

“L’iniziativa italiana ha prodotto dei primi risultati e mi auguro che generino effetti concreti” ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, commentando l’esito della riunione dei tre ministri dell’Interno aggiungendo che “l’Italia intera è mobilitata per far fronte ai flussi e chiede una condivisione Ue che è necessaria se si vuole tener fede alla propria storia e ai propri principi. E’ necessaria per l’Italia per evitare che i flussi diventino insostenibili alimentando reazioni ostili nel nostro tessuto sociale”. Traduzione: o ci aiutate o l’Italia salta per aria. Le due molotov lanciate in provincia di Brescia contro un albergo che dovrebbe ospitare 35 migranti sono un segnale lampante. Purtroppo, solo uno dei tanti.


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