Non è ancora terminata la scia di commosse commemorazioni di Helmut Kohl, cancelliere tedesco della riunificazione e uno dei padri fondatori dell’Unione Europea. A lui che si era sempre vantato di aver ricevuto “la grazia di essere nato tardi”, parte di una generazione che non ha vissuto la guerra in prima persona e che dunque non poteva addossarsi il peso degli orrori nazisti, in questi giorni vengono tributati gli stessi onori che furono riservati ai padri fondatori dell’Europa. Spentosi il 16 giugno a 87 anni dopo una lunga malattia, Kohl è stato il primo statista a ricevere un “funerale di Stato” europeo sabato scorso a Strasburgo, quando il suo feretro è stato ricoperto dalla bandiera blu a stelle gialle. Ieri pomeriggio al Senato l’Italia, su iniziativa della commissione Esteri di Palazzo Madama, ha voluto dedicare alla sua memoria un incontro. Al tavolo dei relatori sedevano il presidente Pietro Grasso, Mario Monti, il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, Pier Ferdinando Casini e il ministro degli Esteri Angelino Alfano.
Sono tante le fotografie riaffiorate al Senato nel ricordare la carriera politica di Kohl. A cominciare dal suo arrivo alla Cancelleria, che avrebbe tenuto per 16 anni, dal 1982 al 1998: un evento inaspettato ed eccezionale, quando prese il posto di Schmidt, decaduto per una sfiducia costruttiva del Bundestag, caso unico nella storia tedesca. I tedeschi hanno sempre amato politici di elevata cultura, cosmopoliti. Kohl non conosceva lingue straniere, e non mancavano critiche sul suo tedesco parlato.
“Nei primi anni del suo mandato non ha brillato, anzi era considerato molto modesto, in parte perché seguiva grandi predecessori”, ha ricordato l’ex premier Mario Monti, che ha descritto Kohl come “un politico che ha sempre visto più lontano dei tecnici”, specie quando optò, andando contro a pareri di eminenti economisti, per la parità del marco fra Germania dell’Est e Ovest post riunificazione. Eppure Kohl i tecnici non li disprezzava, era invece, sottolinea Monti, “sempre rispettoso e attento verso i portatori di esperienza, competenza e funzioni tecniche”. Un riferimento non casuale, anzi personale, quello dell’economista vista la sua esperienza a Palazzo Chigi.
Riaffiora poi la fotografia di Kohl che stringe la mano al presidente francese François Mitterand a Verdun, sede del tremendo massacro fra i due rispettivi popoli durante la guerra. Limpida tra i presenti l’immagine di Kohl che accoglie il presidente statunitense Ronald Reagan ad onorare i caduti in guerra del cimitero militare tedesco (cosa che fece scalpore, perché tra quei sepolti c’era qualche soldato delle ss). Ma più di tutte rimangono impresse le prime picconate al muro di Berlino in quel novembre del 1989, quando Kohl, “smentendo ogni giudizio sommario sui primi anni del suo mandato, diede prova di se sul terreno della grande storia”, ricorda Napolitano, che in quel giorno si trovava a Bonn con Willy Brandt, entrambi all’oscuro di ciò che stava accadendo. Con la morente URSS seppe mantenere i rapporti diplomatici: “Kohl riconobbe che con Gorbacev”, continua Napolitano, “la Germania aveva contratto un debito non cancellabile”. Gioì e pianse dalla commozione quando il 13 dicembre del 1997 il Consiglio Europeo decise a favore dell’entrata dei paesi dell’Est nell’Unione. Quella riunione, davanti agli occhi, tra gli altri, di Jean-Claude Juncker, Kohl la definì fra le lacrime uno dei momenti più belli della sua vita.
A Kohl infine è oggi inevitabilmente legata l’eredità della moneta comune europea. “L’euro per Kohl non era solo una moneta, ma un patto politico”, ha spiegato il presidente Grasso in apertura dei lavori, aggiungendo come il cancelliere non desiderasse “un’Europa tedesca, ma una Germania europea”. Anche Alfano ha voluto ricordare come nel disegno di Kohl ci fosse un’Europa unita economicamente, ma anche solidale: “Kohl credette in una Germania fortemente europea. È qualcosa di tipico dei grandi democratici cristiani, l’idea di un libero mercato che non risolve tutti i problemi, che lascia dei poveri, e fin quando c’è povertà c’è una missione per un politico cristiano”.
Al cancelliere tedesco l’Italia, nel bene e nel male, deve in parte l’entrata nell’euro. Un tratto, quello della solidarietà con gli italiani, che ha ripercorso nel suo intervento il presidente della commissione Esteri del Senato, Casini: “Grande amico dell’Italia, Kohl non ha mai mancato di tenderci la mano. Quando nei salotti finanziari europei molti pensavano a un euro senza l’Italia, Helmut Kohl spiegò come un’Europa senza l’Italia non avrebbe avuto senso”.
Secondo Monti, “il momento che il destino ha scelto per privarci di Kohl è stato provvidenziale”: a un anno dalla Brexit, in un passaggio storico dell’UE in cui crolla la solidarietà fra gli stati membri, la commemorazione del cancelliere vuole “rendere massimo il contributo post mortem di Kohl alla costruzione europea”. Sabato a Strasburgo c’era un grande assente al funerale, David Cameron, l’uomo che con la sconfitta al referendum sulla Brexit ha rivelato la debolezza dell’attuale costruzione europea. C’era invece Theresa May, pur non avendo, nelle parole di Monti, “l’aria più distesa e serena di questo mondo”. Ma forse non è stato un grande scacco alla memoria di Kohl, che con gli inglesi, e soprattutto con la premier di ferro Margaret Thatcher, non è mai riuscito ad andare davvero d’accordo.