“Le navi private delle ong non hanno nessuna legittimazione ad obbligare i porti italiani all’accoglienza”. Parola di Franco Frattini, attualmente presidente della Sioi, è stato ministro degli Esteri dal 2002 al 2004 e dal 2008 al 2011, entrambe le volte con Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Dal 2004 al 2008 è stato inoltre commissario europeo per la giustizia, la libertà e la sicurezza. Ecco la conversazione di Frattini con Formiche.net.
Presidente Frattini, cosa pensa delle dichiarazioni di Emma Bonino, per cui sarebbe stato il governo Renzi a chiedere l’esclusiva sull’accoglienza ai migranti?
Io non ero presente e non conosco i fatti, quindi non posso commentare se non dicendo che se davvero questa fu la decisione si trattò di una decisione sbagliata, perché già all’epoca si poteva percepire con grande chiarezza che l’Italia non era in grado di sostenere, come oggi dice il presidente Gentiloni, un flusso come quello che abbiamo davanti agli occhi. Sono stato il commissario europeo responsabile dei consigli GAI, spesso non c’è un documento scritto che chiude il consiglio. È possibile che ci sia stato un giro di tavolo, tenderei ad escludere l’assunzione di un impegno formale.
Secondo lei si trattò di una contropartita politica per chiedere più flessibilità a Bruxelles?
Può essere che, in un pour parler politico, ci sia stata una contropartita per cui è stato detto all’Italia: voi potete spendere oltre il limite del debito pubblico e deficit, ma dovete fare il lavoro principale sui migranti. Solo chi era però presente può dire se è vero.
Durante l’incontro di Tallinn sembra essere nato un asse franco-tedesco contro la solidarietà all’Italia. Si aspettava che i toni di Macron cambiassero in così poco tempo?
L’incontro di Tallinn non è stato un vertice, ma un giro di tavolo informale. A Tallinn francesi e tedeschi hanno gettato la maschera, hanno detto la verità che nelle campagne elettorali non avevano potuto dire. La prima cosa che voglio dire su Tallinn è: onore al ministro Minniti, che si è ritrovato in uno contro ventisei. Secondo poi, abbiamo vissuto una pessima pagina in cui i membri dell’UE rispetto all’Italia non erano parte della stessa unione, ma controparte. Questi egoismi significano mettere sotto i piedi la solidarietà e i trattati europei.
Eppure qualche giorno prima avevano tutti promesso vicinanza agli italiani…
La sera stessa di Tallinn Macron ha detto che i porti francesi saranno chiusi, la Spagna la mattina dopo ha fatto lo stesso. Non appena il commissario Avramopoulos ha girato le spalle per andarsene si sono dimenticati di essere membri della famiglia europea. La Commissione europea si è rivelata del tutto irrilevante. Quando io da commissario presenziavo a un incontro e tornavo a Bruxelles non era immaginabile che gli stati membri facessero il contrario di quanto avevano promesso davanti a me.
Mi sembra di capire che apprezza il lavoro di Minniti agli Interni..
Lo apprezzo molto, e apprezzo anche che abbia dichiarato che il limite all’accoglienza sta nella capacità di integrazione. Se i migranti devono essere buttati per le strade perché non c’è più posto, quello è il limite in cui bisogna chiudere i porti.
Ma l’Italia può davvero chiudere i porti alle navi delle ong?
Certo che può. Non può limitatamente alle navi ONU o di una missione internazionale come Triton, che è una missione europea. Ma le navi private delle ong non hanno nessuna legittimazione ad obbligare i porti italiani all’accoglienza. Certamente l’Italia può prendere una decisione, quando lo hanno proclamato i francesi e gli spagnoli nessuno ha osservato che non si può fare alla luce del diritto internazionale.
E quando su quelle navi ci stanno i rifugiati?
La verifica del titolo di rifugiati può essere fatta in mare. L’UNHCR può svolgere questa attività in due luoghi: o sulle navi in mare, o nei siti di partenza, istituendo centri di identificazione nei paesi di transito, come in Libia, in Marocco o in Egitto. Se sei un rifugiato perché vieni dall’Eritrea allora puoi partire, se vieni dalla Nigeria che è un paese ricco non sei un rifugiato, ma un migrante economico.
Condivide la proposta di Minniti di un codice per le ong per regole certe e trasparenza?
Si, è fondamentale per fugare quei dubbi su cui non mi pronuncio, perché c’è un’indagine in corso e sono stati espressi da un magistrato in attività che sta indagando. Chi fra le ong non accetta il codice solleva qualche dubbio e sospetto.
Passiamo alla questione libica. Lei da ministro degli Esteri aveva firmato il Trattato di amicizia con la Libia di Gheddafi e gli sbarchi erano drasticamente diminuiti. La CEDU però ci aveva condannato per aver respinto i migranti in mare..
È molto curioso che quando abbiamo firmato il trattato di amicizia la Cedu se la prendeva con noi perché Gheddafi era un dittatore, adesso che ci sono i terroristi di Daesh tutti rimpiangono Gheddafi.
Però fu il governo Berlusconi a dare l’ok per la partecipazione italiana ai raid in Libia..
L’intervento italiano in Libia era ormai inevitabile nel momento in cui i francesi avevano fatto partire gli aerei da combattimento. L’errore gravissimo fu quando all’inizio del 2012 gli Stati Uniti e l’Europa, nel baratro della crisi, hanno deciso di non occuparsene più. La Libia è caduta nelle mani degli estremisti e delle tribù.
Oggi il governo di Tripoli è un interlocutore credibile per l’Europa?
No, non rappresenta nulla. Io ho lavorato molto in Libia: non accadrà mai che un uomo della Cirenaica prenda ordini da Tripoli. È necessario che il generale Haftar sia convinto dall’Egitto di al-Sisi e dalla Russia di Putin a divenire il capo delle forze armate libiche e in cambio Tobruk converga con Tripoli. L’unica cosa che attualmente hanno in comune le due fazioni in Libia è la Noc, la compagnia petrolifera che estrae il petrolio e il gas sia dalla parte di Tobruk che da quella di Tripoli. Quella del governo di unità nazionale è una finzione: Haftar ha combattuto il terrorismo come nessun altro ha fatto, e ha alle spalle un gigante regionale, l’Egitto, e uno mondiale, la Russia. Lei pensi invece che la città di Tripoli ha la luce solo grazie a una centrale dell’ENI: altro che sovranità sull’intero paese.
L’accordo fra l’UE e la Turchia di Erdogan per trattenere i migranti a Est è stato un errore?
A me quell’accordo non è mai piaciuto perché sapevo cosa sarebbe successo. La Turchia lo voleva non tanto per i soldi, ma per qualcosa a cui tiene ancora di più: l’abolizione del regime dei visti. Esattamente quella che avevo concesso ai paesi dei Balcani quando ero commissario, e che fa la differenza fra il sentirsi vicino all’Europa o meno. Per ragioni che l’Europa ha voluto sempre nascondere quell’accordo sui visti non c’è mai stato, con una serie di pretesti che con i visti non c’entrano nulla, come il falso colpo di Stato e la violazione diritti umani. Per questo motivo Erdogan sta iniziando a minacciare di aprire il rubinetto della rotta balcanica.
Ma non succedeva lo stesso ai tempi dell’accordo con Gheddafi? Qual è la differenza?
L’accordo con la Libia fu positivo per due motivi. In primis sul piano simbolico, perché avevamo ripudiato il passato coloniale italiano, un gesto politico che nessun altro paese ha mai fatto. Secondo poi prevedeva la creazione di un’autostrada che avrebbe unito Tobruk a Tripoli, unendo aree deserte e creando condizioni per il commercio. In Turchia è diverso: se l’elargizione di denaro non si accompagna con il riconoscimento dei visti e della pari dignità della controparte, c’è il rischio che il rubinetto a Est si riapra.