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Che cosa celano le dimissioni della laburista Sarah Champion

“Mi scuso per l’estrema povertà di linguaggio” sono state le ultime parole di Sarah Champion, (nella foto), la laburista che ieri ha salutato così la sua carriera politica consegnando le dimissioni – subito accettate -, ma aprendo un vero e proprio caso.

Non è stato esattamente quello che nel cinema anglosassone chiamano happy ending per la Champion, ministro ombra di Corbyn per le donne e l’uguaglianza, rea di aver scritto, sulle pagine del Sun il 10 agosto, in un editoriale a sua firma, del grave problema che affligge l’Inghilterra: le bande di pakistani. L’allusione è alle gang islamiche che la stampa internazionale ha ribattezzato come “asiatiche” e che da oltre quindici anni hanno aperto letteralmente una caccia alle ragazzine bianche inglesi oggetto dei loro pruriti sessuali.

La punta dell’iceberg di un’infame narrazione di abusi sessuali ai danni di bambine e ragazzine da parte di gang islamiche e che ha coinvolto città da Rochdale a Oxford, da Huddersfield a Bristol, è stato il caso Rotherham. Si tratta della prima e più nota inchiesta inglese e che ha investito la cittadina del South Yorkshire, dove per anni le autorità hanno tenuto chiusa nei cassetti un’inchiesta che coinvolgeva almeno millequattrocento ragazzine abusate da “asiatici”, nel timore che lo stigma sociale di razzismo macchiasse le loro reputazioni. Quel genere di razzismo passato alla storia come “islamofobia”.

Da Rotherham in poi sono state aperte diverse inchieste ad anello, culminate nell’ultimo caso, in ordine temporale, che ha coinvolto la città di Newcastle: recentemente sono state arrestate diciassette persone in un’indagine che ha contato almeno settecento vittime. Anche qui, ancora ragazzine, sempre bianche.

Deve essere stato questo ultimo episodio a spingere Sarah Champion a dire la sua. Nero su bianco per denunciare lo stato delle cose nella civilissima Gran Bretagna.

“L’Inghilterra ha un problema con i pakistani che violentano e sfruttano ragazzine bianche. L’ho detto. Ciò mi rende una razzista? O semplicemente una che è disposta a dare un nome al problema per quello che è?” è stato l’incipit dell’articolo che le è costato il posto in Parlamento.

Forse troppe chiacchiere fuori dagli schemi. Forse troppe considerazioni a ragion veduta.

Sarah Champion, infatti, prima di lanciarsi nell’agone politico aveva lavorato in un ricovero per bambini nella Rotherham degli abusi sessuali targati islam. E quello che deve aver visto le ha probabilmente creato una coscienza che l’ha fatta propendere, come spesso accade, per quell’ala politica che nella mitologia abbraccia i poveri, i derelitti e gli emarginati sociali. Peccato che anche questa volta la storia abbia dimostrato che non è così. La laburista è stata licenziata dalla correttezza politica e dall’ipocrisia, ma soprattutto del suo stesso partito. Il partito del Corbyn leader molto più a sinistra di quanti lo hanno preceduto negli ultimi anni, e che evidentemente non può aver cura di quel genere di vittime.

Ma Sarah Champion deve aver avuto un briciolo in più di onestà intellettuale rispetto ai suoi colleghi e ha voluto semplicemente mettere un accento in più in una faccenda dove stampa e autorità giocano a nascondino da anni.

Sono in centinaia gli asiatici condannati per gli stessi crimini e quasi nello stesso arco di tempo, “perché non stiamo commissionando un’inchiesta per vedere cosa sta succedendo e per cambiare lo stato delle cose prima che accada di nuovo qualcosa di simile?”, si è chiesta l’ex laburista nell’ormai famoso editoriale.

Denunciando quel che è sempre stato scritto da quanti hanno seguito da vicino la vicenda, “la gente ha paura di essere tacciata di razzismo nel denunciare l’etnia di chi ha commesso gli abusi su minori”. E come quella paura ha tenuto in fondo ad un cassetto le indagini per anni, creando ancora più danni, oggi ha fatto un’altra vittima, questa volta politica.

“A Rotherham ho conosciuto gli operatori sociali di prima linea che – stiamo parlando di dieci anni fa -, quando cercavano di segnalare questi crimini, sono stati spediti a corsi accelerati di ‘relazioni interazziali’, con la placida raccomandazione che se non avessero smesso di identificare come ‘maschi pakistani’ gli autori degli infami crimini, si sarebbero dovuti aspettare azioni disciplinari. So che questo è tutt’ora attuale nelle nostre città, so che è ancora in corso, e stiamo temporeggiando invece di affrontarlo”. Sono state le parole che hanno fatto traboccare la pazienza liberal inglese.

Sebbene, nel frattempo, a sostegno di queste dichiarazioni, siano arrivate quelle di Lord Macdonald, l’ex responsabile del servizio di corruzione, il quale ha ammesso che i casi di “bande asiatiche”, negli anni, non sono stati esaminati “con il rigore che avrebbero meritato. In passato c’è stata molta riluttanza ad investigare. È un grave problema che le giovani donne bianche siano considerate come rifiuti e buone solo al sesso, è un problema ancora reale per le strade della Gran Bretagna”.

Ma le dimissioni della laburista fuori dagli schemi sono comunque state accettate, dopo essere state spinte da attivisti da tastiera che sui social network hanno lanciato una campagna contro Sarah Champion, invitando lo stesso Corbyn a scaricarla. Un destino tutto sommato scontato.

Islamofobia. Già. È questo il morbo che rischia di diffondere chi osa considerazioni come quelle della Champion. Chi osa criticare l’islam. Ed è per questo che va tacitato. È così che vanno le cose nella democratica Inghilterra dei labour, dove la libertà di parola è un’utopia e la verità ostaggio del politicamente corretto.

 (Foto: Harry Barham, Creative commons CC BY-SA 4.0)


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