Automotive News rilancia: il gruppo automobilistico cinese Great Wall Motors (cioè la Grande Muraglia) è interessato ad acquistare la Jeep. Il giornale di Detroit, il più autorevole del settore, rende nota una mail inviata da Weng Fengying, presidente di Great Wall, che conferma l’indiscrezione lanciata la settimana scorsa. La Fca ha detto di non aver ricevuto nessuna proposta al contrario di quello che aveva scritto precedentemente Automotive News. E molti analisti hanno visto subito le difficoltà dell’operazione, a cominciare da quelle politiche. Ha scritto Giuseppe Berta sul Sole 24 Ore: “Le possibilità concrete sembrano scarse e difficili: da un lato, con le difficoltà dell’industria automobilistica tedesca, è venuto meno un accordo con Volkswagen, che non è mai stato davvero in campo. Dall’altro, esiste un rilevante vincolo politico per Fca, costituito dalla volontà dell’amministrazione Trump di preservare un forte vincolo sui marchi di successo del portafoglio Chrysler come Jeep e Ram: mai come adesso appare impensabile che essi cadano sotto il controllo di un gruppo a proprietà cinese. Questa considerazione, in particolare, pare sbarrare la strada a ogni negoziato”.
Ai cinesi, insomma, interessano Jeep e Ram (Great Wall Motors produce soprattutto suv), mentre Sergio Marchionne cerca da tempo un accordo a tutto campo. E’ stato sconfitto in Germania nel 2009 quando voleva la Opel poi finita alla Peugeot che la Fiat stessa aveva corteggiato. La casa francese è stata poi costretta ad aprire il capitale alla Dongfeng che oggi detiene il 14% tanto quanto la famiglia Peugeot e il governo di Parigi che si è messo in mezzo per esercitare il suo occhiuto presidio colbertista. Ma il no più clamoroso Marchionne lo ha ricevuto dalla General Motors, in realtà dal top management più che dalla miriade di fondi e azionisti finanziari, in particolare dalla boss Mary Barra. “Soli non possiamo stare”, insiste da sempre il gran capo della Fca e l’acquisizione della Chrysler non è sufficiente vista la estrema debolezza del gruppo italo-americano (incorporato in Olanda), sul mercato asiatico dove si vende ormai il 50% delle auto prodotte nel mondo.
L’ultimo flop in Cina è recentissimo. La joint venture Fca-Gac che nel 2012 ha avviato la produzione di due auto, ovvero dei modelli Fiat Viaggio (chiamata Fei Xiang in Cina) e Fiat Ottimo nello stabilimento di Changsha è stato un clamoroso fallimento tanto che Marchionne ha deciso di mettere fine alla produzione. Le due vetture erano state progettate sulla base della piattaforma della Alfa Romeo Giulietta, impiegata anche sulla Dodge Dart, ma non sono piaciute ai cinesi che hanno comperato appena 70 mila vetture nel 2014, 30 mila nel 2015 e 13 mila nel 2016. La capacità produttiva degli impianti è di 140 mila pezzi l’anno e la Fca ha deciso di utilizzarli per le Jeep Cherokee, Renegade e Compass piazzando già 130 mila auto dal gennaio 2016 al marzo di quest’anno. Anche questo è un test indicativo delle preferenze del mercato.
Il Foglio, in un articolo pubblicato nell’inserto culturale di sabato scorso, ipotizza uno scenario e si chiede: “Se un giorno d’estate Kim Jong-un, Xi Jinping, Donald Trump e Sergio Marchionne si mettessero d’accordo? Se la Jeep, il glorioso marchio che ha accompagnato le truppe americane alla vittoria in Europa e in Asia, diventasse il pegno per un patto tra le due sponde del Pacifico? Fantapolitica e fantaeconomia, naturalmente, eppure in questo modo potrebbe avere una ben diversa sostanza la voce messa in giro da Automotive News, la testata più autorevole in campo automobilistico, sono interessati a comprare Fiat Chrysler per estrarre i marchi e gli stabilimenti di suv e pick-up dal resto della produzione automobilistica che in Cina non ha avuto alcun successo. Cedere la Jeep sarebbe ammainare la gloriosa bandiera a stelle e strisce per Trump che ha proclamato America First e la difesa del Made in U.S.A.; tuttavia, The Donald potrebbe restare nella storia come l’improbabile presidente che ha evitato una guerra nucleare, sulla scia insomma di John Fitzgerald Kennedy l’ipermitizzato JFK”.
Tra poco si riunirà il 19esimo congresso del Partito comunista cinese e Xi Jinping vuole arrivarci da assoluto vincitore, con un potere pari solo a quello di Mao Tsedong all’apice del suo regime. Ha stroncato molti oppositori con le continue purghe anti-corruzione. E ha messo sull’avviso i magnati della nuova Cina, sia i dragoni rossi, sia la miriade di capitalisti nati dalle riforme di Deng Xiaoping: dovete riportare in patria i capitali, investire nell’ultima grande modernizzazione che faccia della Cina una potenza industriale matura, dovete ridurre i debiti di banche, imprese, amministrazioni locali e famiglie che minano la crescita, proprio come ha avvertito il Fondo monetario internazionale. Niente operazioni spericolate, niente cose oscure come l’acquisto del Milan. Anche perché c’è bisogno di riprendere in mano un settore finanziario che sembra refrattario a ogni cambiamento. Secondo il FMI, il debito pubblico cinese è arrivato al 235% del prodotto lordo e potrebbe salire al 290%. Ciò ha consentito di mantenere una crescita del 6,7% quest’anno, ma mettendo a rischio la stabilità. Dunque, è prioritario ridurre i rischi derivanti da investimenti sbagliati, o anche soltanto eccessivi, all’estero.
Great Wall è uno dei principali costruttori cinesi con oltre 30 sussidiarie e 60 mila dipendenti. Il principale azionista con il 40% è Wei Jianjun uno degli uomini più ricchi del paese. Il comune di Boading, città natale di Wei e sede della compagnia detiene un pacchetto del 30%. In Europa produce solo in Bulgaria. L’acquisizione della Jeep potrebbe essere una bandiera importante per l’apoteosi della Cina di Xi. Perché mai Trump dovrebbe consentirlo? Per le insistenze di Marchionne che non ha mai mostrato una ostilità preconcetta verso The Donald (al contrario di molti dei top manager americani)? No, perché Pechino potrebbe mettere a freno quel pupazzone impazzito che comanda a Pyongyang spingendolo ad accettare un negoziato per la rinuncia all’armamento nucleare, offrendo a Kim sempiterna protezione politica e militare. Fantasie di mezzagosto. Ma chissà, a forza di sognare qualche volte ci si azzecca.
Stefano Cingolani