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Libia, come si riorganizza Isis e perché Trump ha attaccato

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Lo Stato islamico ha ripreso le sue attività in Libia. Lo sta facendo con maggiore discrezione rispetto a quando due anni fa piazzò a Sirte, città costiera orientale, la sua “fiorente capitale” (per riprendere la definizione che ne diede un articolo del New York Times che sull’argomento ha fatto antologia), ma non mancano messaggi espliciti, inviati attraverso canali media che per mesi, dopo che Sirte è caduta sotto i colpi dei miliziani misuratini onusiani, sono rimasti in silenzio.

IL SILENZIO

A fine agosto è stato pubblicato il primo video dopo sette mesi: alcuni baghdadisti venivano ripresi a fermare gli automezzi su una strada tra Jufra e Abu Ghrein (a sud di Sirte), chiedevano agli autisti dei camion di mostrare i documenti, sembrava che quel territorio fosse amministrato da loro come un anno fa. I canali media del gruppo erano muti dal 19 gennaio, quando in uno dei suoi ultimi atti da presidente Barack Obama ordinò un bombardamento su un campo di addestramento dell’IS. Partirono addirittura due bombardieri strategici B-2 dal Missouri, in un evidente show di forza americano che racchiudeva un messaggio: vi abbiamo schiacciato a dicembre (quando la battaglia di Sirte, sostenuta dalla copertura aerea statunitense, è stata dichiarata conclusa) e non vi daremo scampo mai. L’area che era stata colpita, a 45 chilometri a sud di Sirte, è quella attualmente interessata da questa fase di riemersione del gruppo.

LA RIEMERSIONE

Il 22 settembre velivoli senza pilota americani sono tornati a colpire in Libia, il primo attacco sotto Donald Trump. Ancora a Jufra. È da lì che gli uomini del Califfato fanno uscire il loro segnale di ritorno: si mostrano nei video mentre compiono le loro quotidiane attività. Vogliono far sapere che si sentono sicuri. Risponde l’America col raid di tre giorni fa: non lo sarete mai, vi cacceremo ovunque, vi osserviamo. Al momento il numero dei baghdadisti in Libia è stimato intorno alle 500, massimo mille, unità, e per questo il ruolo informativo e mediatico è fondamentale: da una parte il Califfato vuol far sapere ai tanti interessati che battono la regione fino al Sahel che c’è ancora (“La guerra è appena cominciata” dicono i canali Telegram), e ha bisogno di uomini; dall’altra Washington batte il colpo per scoraggiare i rinforzi, e l’Unione europea ha pronto un piano per la stabilizzazione del confine meridionale, quello più poroso, da dove passano le rotte dei trafficanti di uomini.

LE PREOCCUPAZIONI EUROPEE

A Isis interessa, perché è da lì che – in un viaggio parallelo, ma non per questo sovrapposto ai migranti – sono entrati molti dei rinforzi che avevano fatto della Libia il più forte territorio califfale extra-Siraq. Domenica, quella che i baghdadisti definiscono Wilayat al Barqah, la Provincia della Cirenaica: nel video si rivendica un’azione efferata contro alcuni combattenti dell’Lna, la milizia cirenaica che risponde al maresciallo Khalifa Haftar (che cerca accrediti internazionali mostrandosi come un free-lance valoroso nella lotta al terrorismo, attirandosi i flirt della Comunità internazionale, che però riconosce solo il governo onusiano impostato a Tripoli e osteggiato da Haftar).

Nel video, come evidenzia Marta Serafini del Corriere della Sera, c’è anche una chiara minaccia all’Italia: è questo il cruccio delle intelligence occidentali, la possibilità che il Califfo usi la Libia come piattaforma per lanciare attentati in Europa – con due precedenti, Berlino e Manchester, per cui sono stati ricostruiti link con un network che passa dalla Libia. Per questo la guerra di intelligence, anche informativa, è veramente soltanto all’inizio: lo Stato islamico ha mostrato già in Iraq la capacità di restare quiescente per lunghi periodi, e in Libia potrebbe approfittare del vuoto di potere per muoversi con più disinvoltura. Sempre domenica, Amaq News, l’agenzia stampa propagandistica internazionale del Califfato, ha rivendicato come un attentato suicida, classica firma baghdadista, un attacco a un check-point a Nofilia, est di Sirte.

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