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Ecco come lo Stato amoreggia con i giornali cartacei

Le voci più autorevoli del giornalismo anglosassone puntano sempre più sulla frontiera dei media telematici. Una trasformazione che in Italia si fa largo con fatica anche a causa delle robuste agevolazioni economiche previste dallo Stato per le testate cartacee.

Vantaggi milionari

Le testate cartaece hanno goduto fino a pochi mesi fa di rilevanti sgravi fiscali per l’acquisto di carta e per le spedizioni postali, nonché dei finanziamenti pubblici a organi di stampa di partiti e cooperative. Fondi poi riformati a favore dei mezzi di informazione reali e con un bacino effettivo di lettori.

Ma una misura, considerevole dal punto di vista finanziario e rimasta in ombra sul piano mediatico, resiste alle repentine metamorfosi politiche del nostro paese. È l’obbligo da parte di regioni ed enti locali di pubblicare su quotidiani di carta gli avvisi di bandi, gare, concorsi, decisioni dei tribunali.

Previsione che, secondo le stime prudenziali divulgate da Formiche.net, aveva provocato tra gennaio e agosto 2013 un volume di risorse pari a oltre 86 milioni di euro, 94,5 nel 2012. Cifre importanti se pensiamo che nei primi otto mesi dello scorso anno le inserzioni pubblicitarie complessive sulle testate tradizionali avevano raggiunto i 519 milioni di euro.

L’incredibile girandola della politica

Fin dal 2009 governi e parlamentari provarono con più o meno coraggio e convinzione a cambiare le regole. Riducendo l’obbligo di pubblicazione o riequilibrandolo tra i vari mezzi di comunicazione.

A partire dai portali telematici, che sempre più costituiscono il contenitore cui attingere notizie istituzionali e di interesse collettivo. Ma tutti i tentativi vennero respinti.

Le acrobazie del governo Renzi

L’ultimo in ordine di tempo risale ad aprile, quando con il provvedimento fiscale sui benefici IRPEF l’esecutivo guidato da Matteo Renzi aveva cancellato l’obbligo prevedendo la diffusione di bandi e avvisi esclusivamente in Rete.

Il risparmio preventivato dalla manovra ammontava a circa 120 milioni di euro calcolando le spese sostenute dallo Stato oltre a quelle degli enti territoriali. Ma le reazioni del panorama editoriale cartaceo, già fiaccato dalla crisi e dal calo della pubblicità, furono molto critiche.

La volontà riformatrice del governo sembrava irremovibile. Finché, pochi giorni dopo l’esito trionfale delle elezioni per il Parlamento europeo e in occasione della conversione in legge del decreto fiscale, il Partito democratico ha presentato nelle Commissioni Bilancio e Finanze di Palazzo Madama un emendamento che rinvia al 1 gennaio 2016 l’obbligo di pubblicazione di bandi e concorsi esclusivamente sui siti Internet. Testo approvato con maggioranza bipartisan negli organismi parlamentari ristretti e in Aula.

La reazione furibonda dei Cinque Stelle

Una scelta che ha provocato la reazione virulenta di Beppe Grillo e del Movimento Cinque Stelle, l’unica forza politica a votare contro l’emendamento.

E a prevedere, nella proposta di legge relativa all’abrogazione di tutte le forme di finanziamento pubblico dell’editoria, il superamento della prescrizione di diffondere i bandi di gara delle istituzioni locali sui giornali cartacei.

Ripristinare un altro obbligo?

La complessa vicenda delle sovvenzioni indirette alla carta stampata si arricchisce ora di un nuovo capitolo. Che esclude in tal caso sussidi pubblici e risorse dei contribuenti.

Nel corso dell’audizione del 4 luglio nelle Commissioni Attività produttive e Beni ambientali del Senato, il presidente della Federazione italiana editori di giornali Maurizio Costa ha chiesto di ripristinare l’obbligo di pubblicazione sui quotidiani tradizionali delle informazioni riguardanti le società quotate in Borsa. Dovere che è stato eliminato dal recente decreto legge sulla competitività.

Le ragioni degli editori

A giudizio di Costa le motivazioni della richiesta sono fin troppo evidenti: “Nel nostro paese soltanto il 35 per cento della popolazione adulta usa la Rete – e appena il 30 lo fa per esigenze di informazione – a fronte del 42 per cento che legge i giornali”.

Una radicale sostituzione della carta con il web è ritenuta frettolosa e contro-producente per i risparmiatori. Per non escludere da notizie economiche rilevanti il 70 per cento dei cittadini, FIEG caldeggia l’affiancamento dei due canali.

Un intervento pubblico per l’editoria in crisi

L’ultima tappa concernente il travagliato universo dell’informazione è quella dell’intervento pubblico per fronteggiare la seria crisi dell’editoria giornalistica.

Già i governi guidati da Mario Monti e Enrico Letta ne avevano fissato le priorità: promuovere e sostenere l’innovazione tecnologica e digitale, assumere giovani professionisti, mettere in campo efficaci ammortizzatori sociali per i lavoratori in esubero. Le cifre previste parlavano di 50 milioni per il 2014, 40 per il 2015, 30 per il 2016. Le testate beneficiarie avrebbero dovuto essere medio-piccole.

Linee-guida che l’esecutivo Renzi ha travasato nel Fondo straordinario per l’editoria, aggiungendo tra gli obiettivi strategici le riorganizzazioni aziendali con ricorso ai pre-pensionamenti, l’accorpamento delle agenzie stampa, la stabilizzazione dei precari.

Sbloccato il Fondo salva-giornali

Risale a fine giugno la firma, ad opera del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria Luca Lotti, del decreto del capo del governo che istituisce un fondo straordinario di 120 milioni di euro per il triennio 2014-2016.

Il provvedimento prevede peraltro sgravi fiscali totali per 36 mesi riguardo alle assunzioni a tempo indeterminato, agevolazioni al 50 per cento per i contratti a termine e detrazioni retroattive per la trasformazione del tempo determinato in indeterminato. Trasformazione che sarà obbligatoria per il 20 per cento dei lavoratori, pena lo stop all’erogazione dei contributi.

Anche le uscite volontarie dall’attività professionale verranno supportate con risorse pubbliche. A patto che ogni tre pre-pensionamenti vi sia una chiamata a tempo indeterminato.

La stampa e le radio di partito

Il panorama multiforme delle sovvenzioni pubbliche alle testate giornalistiche non sarebbe completo senza considerare una cifra assai rilevante, fornita dal Corriere della Sera.

Tra il 1993 e il 2012 lo Stato italiano ha elargito 330 milioni di euro per sostenere 25 quotidiani legati a partiti. Mentre 90 milioni sono stati destinati, a partire dal 2003, a 5 emittenti radiofoniche in buona parte di impronta politica: oltre 37 a Radio Radicale, 26 a Ecoradio, circa 17 a Radio Città futura, 5,2 a Veneto Uno, 3,6 a Galileo.

Contributi indiretti alla politica

Fondi, scrive il Corriere, che uniti alle tante forme di finanziamento pubblico dei partiti hanno contribuito a prefigurare un caso unico nel mondo occidentale. Tre in particolare meritano di essere messe in risalto per la loro entità.

La prima è rappresentata dalla rete di servizi di cui i politici godono nelle strutture di governo centrale e locale, con remunerazioni ben più elevate rispetto alle prestazioni richieste. Compensi che avvantaggiano persone appartenenti alla stessa area partitica, a prescindere dal merito e dal profilo professionale.

La seconda risiede nelle risorse degli apparati amministrativi che risultano di fatto al servizio dei politici, prefigurando un uso privato e improprio di fondi pubblici. La terza è costituita dalla selva di 8mila aziende pubbliche nazionali e locali nella quali le nomine hanno natura politica.


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