A parte le ristrette cerchie degli addetti ai lavori, pochi commentatori si sono accorti o hanno comunque analizzato attentamente l’articolo 22 del Decreto Legge 90 sulla PA dello scorso 24 giugno. Sotto il titolo asettico “Razionalizzazione delle autorità indipendenti”, si nasconde qualcosa di meno ma anche qualcosa di più rispetto a quanto sarebbe normale aspettarsi.
CHE COSA PREVEDE IL DECRETO
Infatti, non si interviene quasi per nulla sulla governance delle Autorità (fa eccezione il ritorno dei componenti della Consob a 5 membri e il sacrosanto divieto per i componenti delle Autorità di essere nominati alla cessazione dell’incarico in un’altra Autorità per un periodo di 2 anni) ma se ne condiziona fortemente l’operatività in nome di un rafforzamento dell’indipendenza e soprattutto di maggiori risparmi. Che la stessa Relazione tecnica che accompagna il provvedimento si guarda dal quantificare e prudentemente si riserva di valutare a consuntivo. Forse anche perché a fronte di 401 milioni di uscite complessive (ultimi dati di bilancio, non ci sono cifre la neonata Autorità di regolazione dei trasporti), per inciso pari allo 0,08% della spesa totale delle amministrazioni pubbliche centrali, le Autorità indipendenti interessate dal provvedimento gravano complessivamente sulla finanza pubblica per circa 14 milioni di euro (dati 2013). Il resto proviene soprattutto dai contributi dei soggetti vigilati o regolati e in parte minore da multe e sanzioni. Naturalmente, questo non sarebbe un buon motivo per consentire sprechi o per rinunciare a tagli di spese superflue.
LE MANCANZE DEL DECRETO
Ma perché agire per decreto, che peraltro va convertito in legge in tutta fretta prima delle vacanze estive, se non c’è un’esigenza immediata di risparmio per lo Stato? E senza prevedere una riduzione dei contributi dovuti dai soggetti obbligati? Peraltro, a prescindere da queste domande che pure sono tutt’altro che irrilevanti, non solo i risparmi per le Autorità sono tutti da dimostrare sulla base della riduzione delle sedi e del previsto spostamento in un’unica città (che poi sarebbe Roma) oppure della messa in comune di alcuni servizi ma gli effetti collaterali e l’impatto finale complessivo potrebbero essere decisamente diversi da quanto immagina il Governo. O quantomeno da quanto dovrebbe augurarsi chi ha a cuore la vigilanza e la regolazione indipendente in questo Paese. Quest’ultima non nasce per caso ma, a tutte le latitudini, ha soprattutto il duplice obiettivo di sottrarre decisioni tecniche alle tentazioni della politica (es. la gestione della dinamica di prezzo di alcuni servizi in tempo di elezioni) e di attrarre competenze altamente specializzate e di remunerarle adeguatamente.
Cerchiamo di capire dunque le insidie principali che si nascondono dietro i 16 commi con i quali il Governo si propone di “razionalizzare” le autorità indipendenti.
REGIME DELLE INCOMPATIBILITÀ TROPPO SEVERO
Sul primo comma, che impedisce per un periodo di due anni il cursus honorum che ha già visto in diverse occasioni alcuni commissari di un’Autorità transitare in un’altra senza significativa soluzione di continuità, non c’è molto da eccepire. Di fatto, nello spirito si è venuto a determinare un sostanziale aggiramento della norma che prevede la non rieleggibilità dei componenti di un Authority alla scadenza del proprio mandato al fine di preservarne l’indipendenza dalla politica. Se dagli stessi dai quali non si può ottenere il rinnovo si incassa il posto in un’altra Autorità evidentemente quello che è uscito dalla porta rischia di rientrare dalla finestra. Peraltro, senza poter vantare, salvo rare eccezioni, i necessari requisiti di competenza tecnica per occuparsi indifferentemente di due o più ambiti tra loro molto diversi.
LE NORME SUI DIRIGENTI
I successivi due commi pongono una questione delicata, cioè il divieto non solo per i componenti di vertice ma anche per i dirigenti a tempo indeterminato che non siano stati responsabili esclusivamente di uffici di supporto di intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, consulenza e impiego con i soggetti regolati nei quattro anni successivi alla cessazione dell’incarico.
Lo scopo di questa norma fa il paio con quella precedente, richiedendo non solo indipendenza dalla politica ma anche dai soggetti regolati. Ma con due importanti differenze. In primo luogo, ribadendo il dettato della Legge n.481/1995, il periodo è stabilito in ben 4 anni. Un intervallo di tempo decisamente lungo, tenendo presente che ad esempio per i componenti di vertice gli stipendi che servivano a remunerare anche lo stop successivo alla cessazione dell’incarico sono stati nel frattempo radicalmente sforbiciati. Se peraltro la norma appare costrittiva per i vertici (si può facilmente immaginare una riduzione del periodo di incompatibilità, almeno per incarichi solo indirettamente collegati a soggetti regolati), ci sembra del tutto penalizzante per i dirigenti. Il cui principale se non unico sbocco sul mercato del lavoro, data l’elevata specializzazione tecnica (che, come già detto, è anche una delle principali ragioni che spiegano l’esistenza di un’autorità indipendente), non può che essere un incarico direttamente o indirettamente collegato a un soggetto regolato.
POSSIBILE DEPAUPERAMENTO DELLE COMPETENZE SPECIALISTICHE
Sarà poco popolare dirlo in un periodo come questo ma deve essere ben chiaro a chiunque abbia del sale in zucca che questa norma, unita ai due commi successivi (che prevedono rispettivamente un reclutamento unitario e una riduzione non inferiore al 20% del trattamento economico accessorio del personale dipendente), rappresenta uno straordinario vulnus di una delle ragioni fondanti che giustificano l’esistenza stessa delle autorità indipendenti. Per certi versi sarebbe stato meglio abolirle del tutto senza inutili ipocrisie o moralismi (anche se un po’ contraddittoriamente, magari in altri corridoi ministeriali, il Governo sta lavorando, a nostro avviso giustamente, per trasformare l’Agenzia del Farmaco in un’autorità indipendente). Come sa qualsiasi discreto studente di un corso di base di economia, se diversi forti incentivi (o, come in questo caso, disincentivi) si muovono nella stessa direzione è difficilmente immaginabile che gli effetti tardino ad arrivare.
I RISCHI PER IL PERSONALE DELLA AUTHORITY
È inevitabile immaginare come a queste condizioni il processo di selezione delle autorità nei prossimi anni vedrà la partecipazione di personale meno qualificato. A meno che la crisi degli ultimi anni non prosegua diminuendo la pressione competitiva proveniente dal settore privato. Ma ovviamente non se lo augura nessuno, a partire dal Governo che in altri campi sta dimostrando il giusto piglio per restituire all’Italia una prospettiva di crescita. Con un pizzico di malizia, potremmo anche dire che la forma del decreto, immediatamente applicabile ai contratti in essere, aiuta nell’evitare un possibile esodo dell’attuale personale dirigente verso il settore privato. Ma, in questa nuova luce, il provvedimento appare ancor più punitivo per chi ha fatto comunque la scelta di lavorare per le istituzioni pubbliche, pur avendo tutte le qualifiche per stare nel privato. Non stiamo certo parlando di tutti i dirigenti e funzionari delle Autorità e certamente c’è da distinguere tra una Authority e l’altra ma di un numero comunque significativo di professionalità qualificate.
I DATI DELL’ARAN
Ricordiamo che, secondo i dati pubblicati dall’ARAN, il 70% del personale delle autorità indipendenti è laureato rispetto a una media della pubblica amministrazione che si ferma al 30,2%. Si tratta per inciso di una percentuale decisamente più elevata rispetto allo stesso settore privato e che in alcune autorità raggiunge punte di eccellenza assoluta (ad esempio, oltre l’80% nel caso dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, secondo l’ultima Relazione annuale presentata a giugno).
DOSSIER CONSULENZE
Peraltro, il taglio non inferiore al 50% degli incarichi di consulenza, studio e ricerca rispetto ai livelli del 2013 (che già riflettono i risparmi imposti dai provvedimenti adottati negli ultimi tre anni), previsto dal comma 6, di fatto riduce di molto la possibilità di rivolgersi all’esterno per acquisire competenze specializzate che pure risultano a volte indispensabili per autorità che intervengono su questioni molto tecniche. Pensiamo, ad esempio, ai proficui rapporti con le facoltà di ingegneria e i Politecnici stabiliti dai regolatori dell’energia e delle comunicazioni elettroniche, tanto per citare i casi più evidenti.
BENEFICI DUBBI DALLA MESSA IN COMUNE DI SEDE, CONCORSI E ALTRI SERVIZI
Infine, la questione della messa in comune di alcuni servizi, della gestione unica delle procedure concorsuali e della sede unica in uno o più edifici contigui, basati nella stessa città (che non può che essere Roma). A fronte di vincoli certi, che certo non sono a costo zero (pensiamo al processo di riorganizzazione che terrebbe impegnate le Autorità nei prossimi mesi e anni), i benefici finanziari appaiono del tutto incerti e probabilmente illusori (oltre a non spostare sostanzialmente di una virgola, qualora venissero realizzati, il saldo di bilancio dello Stato). Lo spostamento delle sedi avrà inevitabilmente strascichi sindacali (e presso i giudici del lavoro) ed è facile prevedere che ai dipendenti che prestavano servizio in una diversa città andrà riconosciuta l’indennità di trasferta, almeno per un congruo periodo (e ammesso che vogliano spostarsi, con ulteriore pericolo di depauperamento di capitale umano).
LA QUESTIONE DELLA PROCEDURA CONCORSUALE UNICA
Per quanto riguarda la procedura concorsuale unica, non si capisce quale sia la ratio del provvedimento. Data l’elevata specializzazione tecnica, prevedere una gestione unitaria è sinonimo di maggiore complessità e di minore meritocrazia. A meno che non si reputi qualche autorità particolarmente riprovevole sotto questo profilo ma allora l’operazione del Governo avrebbe dovuto essere più chirurgica e incisiva. Senza paralizzare le altre che si vedono bloccare già a partire dalla data di emanazione del decreto i concorsi programmati ma ancora non banditi. A fronte di competenze in aumento, per decisione della stessa politica, e di nuove risorse umane da assumere al più presto per garantire la piena operatività. È ad esempio dei giorni scorsi l’allarme di Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, sulle nuove competenze richieste dall’attuazione del regolamento europeo sulla trasparenza dei mercati dell’energia all’ingrosso (REMIT) alle quali l’Autorità in queste condizioni difficilmente potrebbe far fronte in maniera ottimale. Sempre che l’articolo 22 del decreto PA non lasci il posto a riflessioni più profonde e di lunga gittata, per evitare che al tempo dello sblocca-Italia a rimanere bloccate siano le Autorità indipendenti, che pure in alcuni settori (su tutti energia e tlc) hanno consentito finora investimenti per alcune decine di miliardi.