Dove può arrivare la censura e quanto vale la libertà dell’informazione di fronte ad eventi eccezionali quanto raccapriccianti come la decapitazione di James Foley, il reporter statunitense ucciso dall’Isis?
LA RICOSTRUZIONE
Il video di Foley è stato pubblicato martedì scorso e rimosso da Youtube circa due ore dopo, forse invano. Caricamenti da parte di altri utenti si sono susseguiti infatti in Rete fino alla condivisione tramite Twitter e la successiva sospensione ad opera dell’amministratore delegato della società Dick Costolo dei profili che avevano condiviso immagini sulla decapitazione del giornalista.
Con il conseguente divampare del dibattito rispetto alla censura del video che nel frattempo aveva oltrepassato il web finendo su giornali ed emittenti televisive seppure in una versione leggermente edulcorata.
TUTTE LE DOMANDE SUL VIDEO
Su Formiche.net sono state ospitate le domande di editorialisti e giornalisti che si sono interrogati sulla legittimità di pubblicare o eliminare contenuti dalle piattaforme sociali.
Per Beppe Severgnini la diffusione del video altro non sarebbe che una mano tesa ai terroristi: “Perché aiutare i carnefici? Gli abbiamo già fornito la tecnologia. Vogliamo diventare i loro portavoce?”, ha scritto sul Corriere della sera.
Di diverso avviso è stato invece Fabio Chiusi. Per lui è una questione di umanità, ma anche di libertà: “Perché non dovremmo poter decidere da noi se guardare o meno quel video?”, ha scritto nel post pubblicato sul Messaggero Veneto.
PERCHE’ E’ GIUSTO MOSTRARLO
Ma non solo le uniche chiavi di lettura: “Non è distruggendo il termometro che abbassi la febbre”, ha detto nei giorni scorsi Nicolas Henin, compagno di prigionia di James Foley dal giugno del 2013 ad aprile 2014, intervistato su Repubblica da Anais Ginori. Per Henin oscurare quel video non farebbe altro invece che rafforzare la propaganda jihadista.
IL POTERE DEI COLOSSI DEL WEB
In ballo c’è dunque il rispetto della vittima, la libertà personale, la sensibilità degli utenti ma anche il potere del colossi del web.
A mettere in guardia sul potere accumulato da un piccolo gruppo di giganti del web su ciò che viene filtrato online è stato recentemente Dan Gillmor, giornalista statunitense autore di We the media (2004), il quale ha invitato gli utenti a ri-decentralizzare Internet creando un luogo proprio, ad esempio un blog, per stabilire la loro identità. “Non barattiamo la nostra libertà con la convenienza”, ha ammonito il giornalista statunitense sull’Atlantic.
Per l’esperto di nuove tecnologie tuttavia Twitter e YouTube avevano il diritto di cancellare i video, e hanno fatto la cosa giusta.