“La grande difficoltà di ricostruire una visione popolare è legata al fatto che spesso ci si sente come quegli invitati ad un matrimonio che poi allo stesso tavolo faticano a sedersi con un altro invitato. Tutto questo deve finire”. E’ l’auspicio per il centrodestra italiano dell’ex ministro della Difesa Mario Mauro, presidente dei Popolari per l’Italia (orfani del gruppo Demos), che ragiona sul futuro dell’intergruppo con Ncd e Udc che sta nascendo con qualche tribolazione, mentre scalda i motori per la la convention popolare prevista a Matera per i primi di ottobre.
La Costituente Popolare a cosa punta?
Ad oggi siamo riusciti a realizzare un intergruppo tra forze politiche che, non solo si riconoscono nella matrice del Partito Popolare Europeo, ma che hanno rilevanti pezzi di storia in comune.
Perché tale frammentazione?
Le cause sono fin troppo note, semmai credo che il fatto di aver avuto il coraggio di interrogarci su un possibile destino comune che restituisca all’Italia un campo popolare finalmente in grado di competere con la sinistra, sia la vera decisione chiave: un obiettivo da conseguire a tutti i costi, dal momento che finora troppi personalismi e troppa miopia hanno caratterizzato la lunga stagione della transizione.
Quale sarà il rapporto con Forza Italia, considerate le recenti aperture di Berlusconi al Ncd?
Nella mia testa non c’è non da ricomporre il centrodestra come lo abbiamo conosciuto, in quanto era figlio della capacità unitaria di Berlusconi di far sedere attorno a un tavolo, peraltro in una trattativa distinta e separata, forze apparentemente inconciliabili. Così compose fin dall’inizio le distanze di un partito nazionalista come An e di uno contro la nazione come la Lega. Ma ciò era legato all’originalità carismatica di Berlusconi.
Come procedere allora?
La lunga stagione di presenza di Forza Italia all’interno del Ppe rende doverosa in questo momento innanzitutto la ricostituzione del campo popolare e non la ricomposizione del centrodestra, bensì un suo ripensamento. Esso potrà venire solo su base valoriale-programmatica, passaggio propedeutico al coinvolgimento anche di altri partiti.
Andrete, quindi, uniti o meno alle prossime regionali?
La mia buona volontà è in questo senso. Ma nello stesso tempo vi sono molti distinguo che spetterà a noi trasformare in opportunità. Penso ai temi oggi imprescindibili come gli esteri, la sicurezza e la difesa, l’economia. Proprio una nuova visione economica dovrà sciogliere un nodo: nel campo europeo i Popolari si distinguono dai socialisti perché coniugano la tenuta dei conti dello Stato con il rilancio dell’economia. Per questo la nostra decisione non sarà solo formale nel mettere insieme sigle in alternativa alla sinistra, ma procedere con un’operazione utile ai cittadini.
Sceglierete le primarie per definire i candidati governatori?
Sono favorevole a tutto ciò che riporti al centro il principio della scelta da parte del popolo. Quando esistevano i grandi partiti strutturati sul territorio si arrivava alla scelta del candidato non solo tramite la preferenza, ma anche con momenti che consentivano la selezione della classe dirigente.
Oggi cosa accade?
Dopo una lunga stagione di cooptazione, fare in modo che la gente torni a scegliere e così torni a fidarsi, credo debba essere la nostra bussola. Non amando poi le imitazioni di matrice anglosassone, che siano primarie o altre forme di partecipazione, questo poco cambia. L’importante è che chi ha convincimenti che si rifanno alla storia del Ppe senta di poter essere protagonista di un rilancio.
Tra un mese a Matera andrà in scena la vostra Leopolda bianca: sarà una sorta di Todi 3?
Ci interessa moltiplicare i luoghi di dibattito in cui gli attori che abbiamo descritto sino ad ora si possano parlare. Tutti coloro che sono interessanti al rilancio di un progetto alternativo alla sinistra troveranno idealmente in Matera un luogo dove ci si potrà affidare reciprocamente l’uno all’altro. Se dovessi usare una metafora, la grande difficoltà di ricostruire una visione popolare è legata al fatto che spesso ci si sente come quegli invitati ad un matrimonio che poi allo stesso tavolo faticano a sedersi con un altro invitato. Tutto questo deve finire.
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