Tra chi parla di “umiliazione” e chi preannuncia la “disobbedienza civile-professionale”, prosegue il confronto provocato dall’applicazione dell’obbligo di formazione per i giornalisti italiani.
Regola che alimenta critiche aspre da parte di Paola Spadari, attuale presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio. Ecco la conversazione con Formiche.net.
Presidente, qual è il quadro della situazione visto dalla Capitale?
Stiamo “sputando sangue”. Le fornisco cifre eloquenti. Contiamo nel Lazio 20mila iscritti, di cui oltre 15mila chiamati all’obbligo di formazione. Nell’arco di 3 anni dovrei erogare 940mila crediti, quasi 26mila mensili. È impensabile.
Com’è spiegabile un paradosso del genere?
Con il regolamento di applicazione della legge promossa nel 2012 dall’allora Guardasigilli Paola Severino. Testo che ha ricalcato esigenze di categorie professionali molto diverse dal giornalismo. Così come prefigurata, l’ottemperanza obbligatoria di aggiornamento professionale non funziona. Soprattutto sui grandi numeri.
Molti colleghi lamentano disservizi. E temono pesanti sanzioni nel caso di mancata frequenza dei corsi.
Abbiamo patito ritardi e problemi tecnologici legati all’entrata in funzione della piattaforma per aderire alle giornate formative. E abbiamo dovuto costruire competenze prima inesistenti. È come svuotare il mare con un cucchiaio. Ma non faremo pagare ai giornalisti tutto ciò. A dicembre non vi saranno multe e nessuno verrà cancellato dall’albo. I conti verranno fatti a fine triennio, compresi gli eventuali provvedimenti disciplinari per chi non adempie l’obbligo.
Lo scandalo è nella proliferazione dei corsi a pagamento…
L’Ordine del Lazio non ne ha accreditato nessuno. Altro discorso riguarda gli enti formatori indipendenti che hanno stabilito una convenzione con l’Ordine nazionale. I colleghi non possono pagare per rispettare un obbligo di legge. Anche per questo motivo abbiamo intenzione di aumentare i crediti per i corsi on line. Riducendo quelli complessivi.
Il direttore di Tempi Luigi Amicone ha parlato della “saldatura di lobby e interessi corporativi per ottenere il provvedimento del governo Monti-Severino”.
È questo il rischio cui ci stiamo opponendo. Vorrei che il Ministero della Giustizia, che ha le prerogative di controllo e supervisione riguardo l’ordinamento professionale giornalistico, ci desse una mano per rendere seria e gratuita la formazione.
Cosa chiedete ad Andrea Orlando?
Il cambiamento profondo delle regole in vigore. E la fissazione di requisiti stringenti sulle procedure di accreditamento per gli enti formatori. Per calmierare i costi dei corsi a pagamento. L’informazione non può essere soggetto a logiche speculative. Perché è un bene equiparabile alla salute.
È pensabile trasformare i corsi in un’occasione di reinserimento professionale per i giornalisti privi di occupazione?
Certo. Penso anche ai colleghi free-lance che agiscono sul libero mercato. Al contrario, lezioni e seminari sono stati spalmati sull’intera categoria. Compresi i giornalisti con contratti di lavoro dipendente, costretti a svolgerli nella giornata corta o in ferie.
Le aziende editoriali hanno risposto al vostro richiamo a promuovere percorsi di aggiornamento per i dipendenti?
Sì. La Rai, per esempio, ha attivato un approfondimento sull’informazione di genere.
La Cgil promuove 4 giornate formative. Non è un’anomalia?
Si tratta di una polemica strumentale. Ricordo che in primavera numerosi colleghi della Associazione Stampa Parlamentare hanno frequentato un corso sulla spending review tenuto da Carlo Cottarelli. Stiamo per accreditare lezioni di Banca d’Italia e Consob oltre a seminari della Commissione Ue. Il 3 novembre all’Università Luiss Lorenzo Bini Smaghi e Marcello Messori terranno un approfondimento dedicato alla stampa economica.
Ma l’organizzazione sindacale è portatrice di una visione “fortemente politica” su temi caldi.
La formazione, così come l’informazione, non è mai neutra. E i giornalisti hanno facoltà di scelta e discernimento critico tra le linee culturali in gioco. Voglio però rimarcare che le nostre porte sono aperte anche a Cisl e Uil, nonché a tutte le associazioni economico-sociali protagoniste del confronto pubblico.
Alcuni colleghi preannunciano una “disobbedienza civile-professionale”. Altri sono pronti alla cancellazione dall’albo pur di impugnare l’obbligo formativo presso la Corte Costituzionale.
Voglio vedere come si tradurranno tali iniziative. Naturalmente i giornalisti sono liberi di assumerle. Ma vorrei esortare i colleghi che hanno a cuore la professione di lottare con noi in modo costruttivo per venire incontro alle esigenze lavorative. Anche se riconosco che non sarà possibile rimuovere l’obbligatorietà dei corsi.