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Perché Alfano ha ragione su nozze gay e sindaci sbraitanti

Nel mondo contemporaneo si pensa spesso che tutto sia cambiato, che certe questioni non abbiano più rilevanza, che siano sorpassate, e certi confini non esistano più. Ieri sera a Ballarò il politologo di Repubblica Ilvo Diamanti ha parlato, non a caso, del “muro” secolare che divideva in passato il Paese in democristiani e comunisti o in berlusconiani e progressisti, oggi sgretolato sotto la coltre rarefatta del renzismo.

In realtà, la distinzione dei cittadini sugli orientamenti finali della politica ha radici permanenti che si allacciano alle scelte esistenziali delle persone, e, alla fine, ai valori ultimi che sono in gioco nella coscienza di ciascuno. Basta una scintilla, perciò, e la dicotomia torna subito a distinguere, a separare, a contrapporre le parti.

A fare scatenare la polarizzazione in queste ore è stata la circolare che il ministro degli Interni Angelino Alfano ha inviato ai prefetti affinché invitino i sindaci a cancellare le iscrizioni municipali delle nozze gay contratte all’estero. La reazione è stata durissima, quasi una sommossa popolare. I sindaci, tra gli altri, di Bologna, Napoli, Milano e Grosseto hanno urlato e incitato la disobbedienza, si spera solo civile. L’atto del ministro è parso per molti amministratori un diktat intollerabile, tanto che anche le reazioni politiche del centrosinistra non sono state tenere davvero.

Vi è stato chi come Roberto Speranza ha invocato i diritti civili, chi come Ivan Scalfarotto ha esortato Alfano a conferire all’istante con Renzi, ma anche chi come Nichi Vendola ha consigliato al segretario dell’NCD di uscire dalle caverne della sua mentalità retriva. Ovviamente il giocoforza sta nel fatto che perfino Silvio Berlusconi sembra ultimamente essere stato illuminato sulla via della Pascale, aprendosi improvvisamente al libertinismo etico. Fatto sta che la maggioranza si è divisa radicalmente su due fronti contrapposti.

So già le critiche che riceverò per dire quello che vedo e per scrivere quello che penso, ma qui in gioco ci sono due principi terribilmente seri, i quali entrambi chiamano in causa nientemeno che il valore centrale della nozione di legge.

Intanto, l’atto coraggioso di Alfano non ha immediatamente una finalità politica ma, come si dovrebbe dire, di pura logica ordinamentale. Non esiste ad oggi una legge che stabilisca in Italia la liceità delle nozze gay. Non esiste una norma costituzionale che abroghi o sostituisca l’articolo 29, nel quale è detto con chiarezza che “la Repubblica riconosce i diritti di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Niente spazio legale, insomma, per unioni dello stesso sesso.

Andando più in profondità incontriamo poi una seconda nota di merito che pare ergersi addirittura a steccato invalicabile, suscitata dalla domanda sul significato costitutivo del concetto di legge. Cosa intendiamo infatti con tale espressione?

Non è facile rispondere, anche se è evidente cosa dicano in merito quasi tutti i sindaci, salvo rare eccezioni, e soprattutto cosa intenda la sinistra. Riassumerei la posizione così: tutte le leggi sono espressione della volontà politica, e tutte le norme sono regolate dagli interessi e dalle esigenze effettivamente presenti nella società. Difatti solo se si accetta questo principio si è in grado, poi, di giustificare la disobbedienza, le offese ad Alfano, e lo sbandierare un vessillo di guerra a favore di diritti mancanti e oppressi dallo Stato.

D’altronde, si sa che questa convinzione giuridica puramente convenzionale è fin dalle origini il punto di partenza della visione politica progressista, la quale ha spinto, a partire dalla rivoluzione francese, il mondo occidentale verso una deriva relativista. In poche parole, abbattere, cancellare, distruggere ogni diritto che non sia espressione diretta degli interessi presenti ed evolutivi della società è giudicato come una missione contro il tentativo reazionario di compressione della libertà e del progresso. Quale altro significato migliore, in effetti, per definire il socialismo del nostro tempo se non quello di coloro che promuovono sempre maggiori diritti individuali riducendo al minimo i doveri sociali?

Ecco perché Alfano fa benissimo non solo a tutelare la legge in vigore, ma a difendere la validità che hanno alcune norme etiche la cui validità non dipende dal loro essere conformi ad interessi e a poteri influenti, ma dal loro essere espressione intrinseca di un ordine umano e naturale precedente e perciò costitutivo della società. Quando si discute di diritti inalienabili della persona, quando si attribuisce al matrimonio eterossessuale uno statuto giuridico pubblico, specificamente superiore e antecedente alle coppie di fatto, non si sta facendo campagna elettorale per prendersi un consenso retrogrado e silenzioso; si promuove semmai una visione umana, ordinata, migliorativa e stabile della nostra vita sociale. Si sta affermando cioè che non tutte le leggi sono politiche, perché il fondamento di alcune di esse riposa su come è biologicamente e spiritualmente ordinato il genere umano; si difende, insomma, una forma umana di realtà sociale senza la quale non esiste né la società stessa, né la democrazia e neanche la possibilità formale di una libertà autenticamente responsabile.

Quando si dice che la famiglia non è una condizione affettiva e basta, ma un vincolo pubblico, razionale, utile e necessario, si lascia intendere che il valore della vita personale richiede dal principio la chiara presenza anagrafica di un padre e di una madre; e si asserisce che queste leggi naturali non sono sottoposte al negoziato degli interessi di classe o di potere, non sono trasponibili cioè all’interno di un dibattito, per quanto importante, simile a quello che occupa l’articolo 18 o la legge elettorale. La famiglia, in definitiva, continua ad essere quella che è, continua ad avere il valore che ha, e va difesa e promossa così com’è, anche quando è fattualmente debole e concretamente difficile il suo mantenimento in vita. Il connotato valoriale del matrimonio è legale a prescindere da ogni altro diritto individuale, perché su di esso si costruisce la salute fisica e psicologica dei bambini, nonché la loro possibilità di diventare uomini e donne felici e realizzati.

In poche parole, con la famiglia si è al centro dell’orizzonte etico del centrodestra, vale a dire fuori dal recinto volontarista dei diritti senza doveri tipico della tradizione socialista o socialdemocratica. E nella misura in cui Alfano è e resta leader di un partito che si richiama sin dal nome al centrodestra, non potrà mai cedere su questo punto, anche a costo di ricostruire un muro che separi dall’interno la maggioranza o restare una minoranza quantitativamente sofferente dal punto di vista elettorale.

La legge delle leggi, in una visione popolare, non è una legge della società, ma un modo ordinato e reale di concepire i diritti individuali nel quadro etico dei doveri sociali e antropologici che definiscono la natura umana in sé come comunità razionale di affetti, innanzitutto di tipo familiare. Questo è il principio che definisce l’identità culturale dei moderati, incentrata sulla certezza che esiste un diritto naturale indipendente a tutti gli altri obiettivi legittimi, non equiparabile ad altri diritti importanti, come quelli del lavoratore, che contraddistinguono invece una sensibilità autenticamente progressista.

Su questa tavola di valori fondamentali si regge, in definitiva, tutta la visione politica tradizionale della società. Perciò il centrodestra non può farne a meno. Ed è bene ribadire che in materia di famiglia non esiste ecumenismo, ma solo azioni coerenti, anche a costo di tirare fuori dalle caverne antiche cortine di ferro o tornare di nuovo, per la gioia di alcuni, nelle antiche catacombe.


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