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La manovra di Renzi e Padoan è dorotea. Parla l’economista Pennisi

Mentre infuria la battaglia tra governo e regioni sui tagli dei trasferimenti previsti nella Legge di stabilità, aumentano le riserve degli analisti che non la ritengono in grado di promuovere la scossa salutare per il tessuto economico-sociale.

È il caso di Giuseppe Pennisi, a lungo dirigente generale dei ministeri del Bilancio e del Lavoro oltre che docente di Economia alla Johns Hopkins University, alla Scuola superiore della Pubblica amministrazione e all’Università Europea di Roma.

Come valuta la manovra finanziaria dell’esecutivo?

Vorrei partire con una notizia clamorosa data ieri dal Tgcom 24 e che ho potuto verificare e riscontrare. Palazzo Chigi non ha mandato alla Commissione europea tutta la documentazione necessaria per esaminare con attenzione il provvedimento. Ha trasmesso soltanto una nota preliminare di 15 tabelle scritte in lingua inglese. Un autentico esempio di dilettantismo, rispetto al quale il responsabile dell’Economia avrebbe dovuto dare le dimissioni. Il nostro paese rischia di offrire un’impressione di sciatteria completa. E l’UE farebbe benissimo a porci sotto procedura di infrazione.

Cosa pensa dei contenuti della Legge di stabilità?

Parlerei di provvedimento “doroteo”. Ma non in senso dispregiativo, poiché le manovre finanziarie messe a punto negli anni Settanta dai rappresentanti della corrente moderata della Democrazia cristiana tennero in piedi l’Italia colpita dalla crisi energetica, dall’inflazione, dal terrorismo. È semplicemente una misura concepita per far contenti tutti.

Quali sono i punti positivi?

Le iniziative espansive come il taglio della componente lavoro dell’IRAP e gli sgravi fiscali triennali per i neo-assunti. Non credo invece agli effetti benefici del trasferimento del TFR in busta paga. E critico l’aumento miope dei tributi sui fondi pensione.

Per quale ragione?

È un grave danno per le future generazioni, che per l’avvento del metodo previdenziale contributivo avranno bisogno di una riserva finanziaria al momento del ritiro dal lavoro. Così come sono miopi i tagli alla sanità regionale, che verranno compensati dall’inasprimento di aliquote e tasse locali.

Renzi invita le amministrazioni territoriali a eliminare i propri sprechi.

Il primo spreco da tagliare è un premier che toglie credibilità al nostro paese. Un Presidente del Consiglio che ha preferito stabilizzare il personale precario delle scuole – un “esercito” di 1,5 milioni di persone – anziché indire i regolari concorsi già programmati e ridurre il rapporto medio tra insegnanti e studenti. Tra i più generosi al mondo.

Cosa manca di rilevante nella manovra di bilancio?

Non vi è un cenno al tema privatizzazioni. A partire dalla Rai, “madre di tutte le privatizzazioni” essenziali contro le distorsioni dell’assetto informativo. Mancano poi i riferimenti alla messa sul mercato di quote del Tesoro in Eni ed Enel. E vi è un assoluto silenzio sulla vendita e lo sfoltimento delle 8mila aziende partecipate.

La riduzione di 18 miliardi di tasse può favorire la crescita economica?

Si tratta di interventi espansivi che danno ossigeno alle imprese. E che potrebbero permettere di agganciare un’eventuale ripresa dell’Euro-zona. Ma non penso che da sole esse favoriranno uno sviluppo annuo dell’1,5 per cento. Al limite potranno impedire il proseguimento della stagnazione.

Come si può rompere per sempre la spirale recessiva?

Non certo attraverso i prelievi patrimoniali indiretti sulla casa e i risparmi. L’unica iniziativa percorribile è ottenere un allungamento delle scadenze per il rispetto dei termini del Fiscal Compact. Ma il requisito è realizzare robuste privatizzazioni. Sempre che qualcuno venga a investire in un’Italia priva di certezze del diritto.

L’intervento del governo sull’IRAP ha una natura “berlusconiana?”

Napoleone III era chiamato “Napoleone le petit”. Ecco, Renzi è un Berlusconi formato petit.

La convincono le coperture alla Legge di stabilità?

Le reputo evanescenti. Se la manovra venisse approvata dal Parlamento nella versione originaria, l’indebitamento complessivo delle pubbliche amministrazioni toccherebbe il 5 per cento. Le entrate previste, comprese le risorse provenienti dalla lotta all’evasione fiscale, sono sovrastimate. Quelle sulle uscite sono sottostimate. Penso alle rivendicazioni di trattamenti previdenziali fondati sull’anzianità di servizio, che verranno sollevate dal personale precario della scuola una volta stabilizzato.

Con il rinvio del pareggio di bilancio Renzi ha inferto un colpo all’austerità europea?

A livello comunitario molto dipende da fattori esterni rispetto all’Italia. Un elemento è fuori discussione. Fino a quando non risolveremo lo storico problema del debito pubblico – nazionale e di comparti come le municipalizzate – non riusciremo a promuovere una politica espansiva.

Il governo non ha messo in campo una manovra keynesiana?

Gli attuali responsabili politici non sanno neanche cosa voglia dire la parola. Quella presentata dall’esecutivo è una manovra leggermente espansionistica. Ma manca l’investimento pubblico, come rilevato dal Corriere della Sera. Anche perché non vi sono progetti meritevoli di tali risorse, nonostante dal 1999 vi sia un fondo ad hoc. Che infatti è stato utilizzato al 25 per cento.

A questo punto cosa è meglio fare?

Giungere a un accordo con tutte le forze politiche su una riforma elettorale che non escluda e penalizzi nessuno. Poi si vada rapidamente alle urne, sperando che ne scaturisca un governo di migliore qualità.


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