Skip to main content

Carlo Cottarelli e i protagonisti della spending review alla Renzi

Ridurre la spesa pubblica di 32 miliardi di euro entro il 2016 – il 2 per cento del Prodotto interno lordo – per tagliare le tasse su imprese e lavoro, più alte di 35 miliardi rispetto ai paesi europei più avanzati. Focalizzando l’attenzione sui 115-120 miliardi di uscite in campo sanitario.

Era questo il respiro e l’orizzonte della missione di Carlo Cottarelli, l’ormai ex Commissario governativo per la spending review.

L’apprezzamento per la politica economica di Renzi

Rimuovere i freni allo sviluppo produttivo comportava a suo giudizio la lotta all’eccessiva presenza delle istituzioni nel mercato, ma anche una strategia di investimenti statali per il Welfare e per una buona distribuzione del reddito.

Razionalizzare, riqualificare, riequilibrare. Per archiviare la stagione dei tagli lineari e accompagnare la realizzazione delle riforme strutturali per rovesciare la marcia del nostro paese verso il declino.

Forte di tale convinzione, l’economista giunto dal Fondo monetario internazionale ha riconosciuto i passi in avanti compiuti dal governo Renzi con la Legge di stabilità. Apprezzando i risparmi sugli acquisti di beni e servizi o la riduzione delle spese per la difesa. E concordando con il premier nell’esortare le Regioni a tagliare gli sprechi nel settore della sanità.

Un rapporto nel cestino?

Ma ha rilevato allo tempo come la manovra finanziaria dell’esecutivo presenti carenze rispetto al programma originario di revisione della spesa.

Parole che costituiscono la pagina finale di una serie di conflitti, dissensi, incomprensioni con Palazzo Chigi. Colpevole a suo parere di aver cestinato il rapporto redatto dall’ex Commissario e fondato su interventi ben precisi.

Le cifre del piano di Cottarelli

Un progetto che a maggio 2014 aveva subito un ridimensionamento rilevante.

La cifra complessiva ammontava a 21 miliardi nell’arco di 3 anni ed era articolata in 5 capitoli fondamentali: 2,2 miliardi recuperati dalle iniziative per rendere più efficiente la burocrazia, 200 milioni derivanti dalla riforma delle province e dal taglio delle spese di enti pubblici, 400 milioni frutto di minori costi della politica locale e nazionale, 2 miliardi scaturiti dal calo dei trasferimenti a imprese e famiglie, 2,2 miliardi reperiti dalla revisione delle uscite per pensioni, salute, difesa.

Il capitolo più delicato e controverso del pacchetto messo a punto dall’economista prevedeva licenziamenti e mobilità per circa 85mila lavoratori della Pubblica amministrazione. Personale in esubero per il quale egli suggeriva al ceto politico “soluzioni innovative”.

Le misure soft del governo

La risposta del governo è arrivata. E ha sconfessato le misure più radicali prospettate dallo studioso.

Renzi ha rinviato il taglio di 1,8 miliardi ai contributi del sistema previdenziale previsti per il 2015. Cifra che dovrebbe crescere a 3,3 miliardi nel 2016.

E tramite la riforma della Pa ha privilegiato la ricetta dello scambio generazionale, esonero dal lavoro, prepensionamento agevolato dal ricorso a scivoli e incentivi.

Nessun intervento sulla selva delle società partecipate

Al contrario di quanto prefigurato nel programma di Cottarelli, Palazzo Chigi ha rinunciato a sfoltire la giungla delle aziende partecipate dallo Stato e dagli enti territoriali: la “selva di socialismo locale” che grava come una zavorra sull’affermazione di un’economia di mercato oltre che sulle tasche dei contribuenti. L’esecutivo si è limitato a effettuare “sforbiciate” su Anas, Ferrovie dello Stato e Difesa.

Altro rilievo critico mosso dall’ex Commissario riguarda la “mancata razionalizzazione della presenza dello Stato sul territorio e del coordinamento delle forze di polizia”.

Il paradosso denunciato da Cottarelli

L’ultimo bersaglio polemico concerne il via libera del governo al pensionamento di 4mila insegnanti, “esodati” pur avendo raggiunto i requisiti anagrafici e contributivi per ricevere un trattamento previdenziale.

Misura contestata perché “le risorse vengono individuate in risparmi ancora da conseguire”. E che lo porta a scrivere nel suo blog di “revisione della spesa come strumento per il finanziamento di nuove spese”.

Argomentazioni che hanno trovato legittimazione nelle analisi svolte dai tecnici della Ragioneria generale dello Stato.

Portare alla luce tutte le proposte di tagli

Le obiezioni sui contenuti vengono accompagnate dal mistero che ha avvolto i risultati del lavoro dall’ex Commissario governativo. Le 25 relazioni concernenti altrettanti capitoli di intervento sulla spesa pubblica non hanno visto la luce.

A giudizio degli analisti più critici nei confronti di Matteo Renzi resteranno chiusi nel cassetto. E così non consentiranno una rigorosa e ampia valutazione dello scarso coraggio mostrato dal governo nella riduzione delle uscite statali e locali. Nonostante la Legge di stabilità porti a 15 i miliardi derivanti dallo snellimento della macchina pubblica nel 2015.

Sta di fatto che l’economista liberale Riccardo Puglisi, componente del gruppo di lavoro guidato da Cottarelli, ha chiesto sul Corriere della Sera perché Palazzo Chigi non divulghi i documenti redatti dal comitato e quali interessi voglia tutelare.

Ritorno negli Usa

Forse per porre fine a un rapporto logorato, l’economista ha scelto di interrompere con due anni di anticipo la propria attività di Commissario per la spending review. E di ritornare al Fondo monetario internazionale ove studia e lavora dal 1988.

L’elemento sorprendente è che, con la piena adesione di Renzi e del capo del Tesoro Pier Carlo Padoan, Cottarelli rientra a Washington con un ruolo superiore rispetto a quello di alto funzionario lasciato 12 mesi fa.

Ricoprirà infatti la carica di direttore esecutivo per l’Italia, entrando in tal modo nel Consiglio di amministrazione del Fmi.

Una sostituzione clamorosa

Il problema è che quel posto era già coperto da un rappresentante di nomina relativamente recente, l’ex dirigente generale del Dipartimento del Tesoro e consigliere dell’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa Andrea Montanino.

È la prima volta che un executive director del Fondo non viene riconfermato per un secondo biennio. Basti ricordare che Arrigo Sadun, predecessore di Montanino, fu confermato ben 4 volte.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter