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Così i giornalisti duellano sulle follie della formazione obbligatoria

Il confronto vivace provocato dall’applicazione dell’obbligo di formazione per i giornalisti italiani non accenna a placarsi. E si arricchisce di nuovi capitoli, che toccano nel profondo la categoria degli operatori dell’informazione.

Cambiare regole nocive per i giornalisti più deboli

Fortemente intenzionato a modificare le norme che hanno introdotto i corsi vincolanti di aggiornamento professionale, il parlamentare del Partito democratico Michele Anzaldi ha preannunciato la presentazione di un emendamento ad hoc per rivedere il regolamento governativo n.137 del 2012 attuativo della riforma degli ordini professionali realizzata dall’allora Guardasigilli Paola Severino.

Bersaglio del rappresentante del Nazareno è “la speculazione economica alimentata dal numero inadeguato di lezioni e seminari gratuiti. E che colpisce i meno garantiti e i precari”. Gli ordini regionali incaricati di promuovere le giornate di approfondimento – scrive l’ex portavoce di Francesco Rutelli sull’Huffington Post – non riescono a far fronte alle richieste dei 100mila giornalisti italiani. Persone che potrebbero incorrere in pesanti provvedimenti disciplinari – compresa l’extrema ratio della cancellazione dall’albo – se non maturano i crediti necessari.

Il timore li spinge a ricorrere ai corsi di formazione a pagamento organizzati da enti accreditati. Talvolta il costo raggiunge i 700 euro, provocando una duplice beffa per numerose firme costrette a un’attività precaria: “Perché oltre alla spesa rilevante un freelance è costretto a rinunciare alla giornata lavorativa senza ottenere alcuna retribuzione”.

La divisione tra Ordine nazionale e ordini regionali

L’iniziativa politica ha provocato un conflitto di tesi e punti di vista all’interno della categoria giornalistica.

Da un lato il presidente dell’Ordine nazionale Enzo Iacopino, schierato con convinzione a difesa dei corsi di aggiornamento. Dall’altro diversi responsabili degli ordini territoriali a partire da quello di Roma e del Lazio Paola Spadari, che appoggia apertamente la campagna del parlamentare Pd.

Una perdita di tempo inutile?

Fra le voci più battagliere di questo fronte vi è l’ex presidente dell’Ordine del Lazio Bruno Tucci.

Fortemente critico nei confronti delle regole messe a punto dal governo Monti-Severino nel 2012, l’ex inviato del Messaggero e del Corriere della Sera ricorda in una conversazione con Formiche.net come l’aggiornamento professionale lo si svolga ogni giorno innanzitutto nel terreno etico-deontologico e punta il dito contro norme “illogiche e onerose”. Parlando di “corsi gratuiti presi d’assalto” e di “mancanza di tempo da parte di numerosi colleghi”.

A quando l’incontro con Orlando?

L’intenzione è “cercare un approccio con il ministro della Giustizia Andrea Orlando per fargli capire che i giornalisti non ricevono nessun vantaggio e non imparano nulla dai corsi di aggiornamento”.

Tuttavia finora nessun passo ufficiale è stato compiuto per richiedere un incontro con l’esponente di governo: “Neanche dai rappresentanti degli ordini regionali”. La ragione di tale silenzio, spiega Tucci, è legata a “resistenze e interessi tenaci”.

No ai pubblicisti insegnanti dei corsi

Ed è qui che giunge il suo affondo contro una parte della categoria.

“Vi sono molte persone – osserva l’ex firma di Messaggero e Corriere parlando con Formiche.net – che svolgono l’attività di insegnanti dei corsi di formazione e vogliono mantenerli per motivi economici. Tra loro vanno annoverati molti pubblicisti che affollano il Consiglio nazionale dell’Ordine”.

Elemento grave ai suoi occhi: “Il ruolo di responsabili degli organi di rappresentanza professionale è rivolto al bene esclusivo degli iscritti e deve essere portato avanti in modo gratuito. Lo dico non avendo mai ricevuto una lira di rimborso quando tenevo lezioni e seminari per gli studenti universitari o per i praticanti di Roma e Lazio in vista degli esami di abilitazione”.

Far bocciare le norme dalla Corte Costituzionale

L’esortazione è promuovere un’iniziativa di ampio respiro.

Molti colleghi, rileva Tucci, sono pronti a intraprendere forme di “disobbedienza civile-professionale”: “Alcuni di loro si augurano di ricevere le sanzioni previste per chi non adempie all’obbligo. Fino a quella estrema della cancellazione dall’albo professionale”.

L’obiettivo è approntare una sorta di class action per sollevare la questione di costituzionalità della legge e del regolamento Severino presso la Consulta.


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